venerdì 20 marzo 2015

Prima che venga il gelo – Parte seconda

Qui la prima parte.

Riassunto breve: Ven Sender è un giovane allevatore, impegnato a curare le greggi nei pascoli lontani dal paese. Un mattino un gruppo di nomadi Coyranà lo informa che il Leylord, il signore delle cinque Ley, giunto in visita proprio nella Ley del Nord, è morto e che il leyler (governatore) del Nord ha fatto uccidere anche il giovane erede. Questi fatti sono avvenuti solo a poche miglia da lì. Non volendo rimanere implicati negli inevitabili disordini, i nomadi si stanno spostando e vogliono acquistare da Ven una pecora macellata.

Il capanno di Ven è un edificio più semplice, ma dalla
struttura simile a questo (isola di Lewis - Foto di Tenar)
 Ven adorava azzuffarsi, ma odiava uccidere. Le sue pecore, poi, le conosceva ad una ad una. Due delfini d’argento, però, erano un prezzo spropositato e un paio di animali non avrebbero comunque superato l’inverno. I Coyranà sembravano abbastanza di fretta da non fare storie per l’età della bestia.
  Ven si diresse verso la cascata. Il fiume, scendendo dai monti Dari, arrivava con un piccolo salto nei suoi pascoli, dove l’acqua formava poi una lanca tranquilla e gli animali più anziani non si allontanavano mai molto da quel comodo abbeveratoio naturale.
  Ancora prima di arrivare in vista del fiume, Puk iniziò ad abbaiare. Correva avanti e indietro nel suo solito modo esagitato, spaventando le pecore che avrebbe dovuto proteggere. 
  Correndo, Ven arrivò a vedere la causa di tanta agitazione.
  Nelle acque calme della lanca sotto la cascata, c’era un corpo. Una figura umana che Puk aveva già preso per una manica e stava trascinando sul prato.
  Era un ragazzetto magro, un poco più giovane di Ven. Aveva capelli corti e biondi, era vestito in pelle scamosciata tinta d’azzurro con ricami metallici e aveva alla cintura una spada. Sulla schiena una macchia scura sporcava la casacca e vi spuntava ancora l’asta spezzata di una freccia. 
 Ven aveva passato due lune a lamentarsi che nulla accedesse nel pascolo e adesso gli era arrivato tra le braccia il cadavere dell’erede pervertito del leylord.
 Poi la mano del ragazzo si contrasse.
 I coyranà avevano detto che l’erede era morto e il corpo era così pallido e immobile che Ven non aveva neppure pensato che potesse essere vivo.
 D’istinto si tolse la propria giacca per avvolgerlo, ma si bloccò prima di completare il gesto.
 Un pervertito amante d’uomini che il leyler non aveva riconosciuto come sovrano. E, al di là delle questioni morali, il pascolo si trovava nella Ley del Nord, sotto il controllo delle truppe del leyler del Nord, che di certo non avrebbero stretto la mano a chi avesse prestato aiuto all’erede. Infine, anche se non era morto, il ragazzo era mezzo assiderato e aveva una freccia nella schiena. Se non fosse arrivato di corsa, forse l’avrebbe trovato già cadavere.
  Puk, però, aveva preso a leccargli la faccia, ben deciso sulla parte da cui stare e tutto il corpo del ragazzo aveva preso a tremare.
 L’erede doveva avere diciassette anni. Ne dimostrava meno. Quindici, sedici al massimo. Era un tipetto mingherlino, di quelli che Ven avrebbe subito difeso in una rissa. Quanto pervertito poteva essere? Ven aveva sempre saputo cosa volesse, eppure era riuscito a stare solo con un paio di ragazze, quelle con cui tutti i giovanotti del villaggio erano stati. L’erede non poteva aver avuto molti più amori segreti. Non lo avrebbe certo contagiato all’istante.
  Ven lo avvolse nella propria giacca e se lo caricò in spalla. 
  Pesava, pensò, più o meno come una pecora.

 Davanti alla porta del capanno c’erano la ragazza e la vecchia coyranà.
  – Abbiamo pensato di darti una mano a scuoiare l’animale, per fare prima – disse la ragazza, venendogli incontro.
 Si bloccò quando fu a pochi passi da lui.
  – Quella non è una pecora!
  – No. L’ho trovato nel fiume.
 Non c’erano molte persone dagli abiti ricamati d’oro e d’argento che potessero essere trovati nei fiumi in quell’autunno e la ragazza di portò una mano alla bocca.
  – Oh, cazzo!
 Ven trovò adorabile che anche una coyranà potesse imprecare, mentre le guance arrossivano un poco, regalando un tocco di color carne a quella pelle di roccia.
 Anche la vecchia si era avvicinata.
  – È ancora vivo! – esclamò la ragazza, provandogli il polso.
  – Non lo resterà a lungo, se rimaniamo qui fuori – replicò la vecchia. – Presto, portiamo dentro.
  Così, senza aver neppure il tempo di pensare, Ven si trovò a depositare l’erede al trono delle Ley nel suo giaciglio di fieno, a fianco del focolare dove la torba bruciava con la sua luminescenza rossastra. Sentendosi spodestato e inutile, si sedette sul pavimento di terra battuta con Puk al fianco, mentre le due donne, con fare pratico, spogliavano il giovane, lo asciugavano e massaggiavano mani e piedi assiderati.
  – Coraggio, giovanotto, ci serve dell’acqua calda! – gli gridò la vecchia con fare imperioso. – E ce le hai delle bende pulite in questa topaia?
  – Non è una topaia! E non prendo ordini da dei vagabondi!
  – Beh, i topi ce li hai e questo fa di casa tua una topaia. E se pensi di cavartela meglio ti cediamo il passo!
  Ven vide che avevano spogliato il corpo dell’erede e lo avevano steso sul ventre. La vecchia aveva in mano un coltellino dalla lama di ossidiana, simile a quelli che usava lui per castrare gli agnelli, e stava per estrarre la freccia. Scosse il capo.
  – Vado a prendere le bende. Può servire l’unguento che metto sulle ferite delle pecore?
  – Adesso come adesso può servire tutto. Prega anche lo Spirito o tutte le divinità che conosci.
  Quando Ven fu di ritorno, vide che la freccia dalla punta di metallo sporca di sangue era stata buttata per terra. La vecchia stava cucendo la ferita con un filo sottile, come se rammendasse un abito, mentre la ragazza accarezzava i capelli biondi cantando a bassa voce una nenia.
  – Se la caverà? – chiese Ven, porgendo la stoffa pulita e il vasetto con l’unguento.
  La vecchia terminò la sutura.
  – Non lo so. Ho richiamato la sua anima tre volte, ma ogni volta sembrava aver più voglia di andare che di restare.
  – Sei una strega?
  – Strega è una brutta parola nella vostra lingua. 
  Ven immaginò di dover prendere quella frase come un’ammissione.
  – Perché non dovrebbe voler vivere? – chiese.
 Zio Dan, che da lune e lune non vedeva il cielo, dentro la miniera, poteva anche desiderare la morte, ma un principe perché avrebbe dovuto farlo?
 La ragazza, continuando ad accarezzare i capelli del ferito, alzò lo sguardo. Aveva occhi color dell’acqua del fiume e sembravano pieni di lacrime.
  – Lui e suo padre, il leylord, si sono trovati isolati in una una battuta di caccia sulle montagne, circondati da tre pantere delle nevi. Secondo chi aveva organizzato la congiura, due uomini contro tre pantere era un affare sicuro. Padre e figlio hanno combattuto fianco a fianco. Nessuno sa come siano andate le cose, ma quando gli uomini della scorta li hanno raggiunti, le pantere erano morte e il leylord era spirato tra le braccia di suo figlio.
 Questa mattina all’alba è iniziato il ritorno verso Portorso, per scortare la salma del leylord nel suo viaggio verso Caysal, dove il giovane Amrod sarebbe stato incoronato. Lui cavalcava il testa al drappello. D’un tratto qualcuno ha fatto rotolare qualcosa da un cespuglio proprio tra le zampe del cavallo del principe. Lui è sceso di sella per vedere cosa fosse. Era la testa mozzata di un ragazzo. Allora il leyler del Nord, che lo accompagnava, ha chiesto ad Amrod se riconoscesse quella testa e se fosse quella del suo amante. Di fronte al leyler, ai nobili e alla guardia, il principe lo ha ammesso. Era il segnale che il leyler attendeva. Ha gridato che un pervertito non può essere leylord e i suoi uomini lo hanno attaccato. Ma non tutti hanno ubbidito al leyler e Amrod stesso ha iniziato a combattere come una furia. Alla fine è riuscito a rimontare a cavallo, ma, mentre fuggiva, una freccia lo ha colpito alla schiena.
  In pochi giorni ha visto morire suo padre e il suo amato. Tu ti stupisci che non voglia vivere?
  – Come sapete queste cose? – chiese Ven.
  – Eravamo lì – rispose la vecchia. – I Coyranà sono un popolo libero, che ha degli accordi con il leylord. Volevamo incontrarlo. Ma siamo arrivati che il sovrano era già morto e abbiamo preferito non farci vedere, per capire come si sarebbero messe le cose. Abbiamo assistito allo scontro da lontano. Abbiamo visto la freccia colpire il ragazzo e abbiamo dato per scontato che fosse morto. Il nostro accordo era sfumato e avevamo visto troppe cose per ritenerci al sicuro così vicini al leyler. Immagino che non andrà in giro a raccontare che l’incidente di caccia era organizzato e che l’erede è stato colpito alle spalle.
 Ven annuì.
 Poi Puk iniziò ad abbaiare.
  – C’è qualcuno che si sta avvicinando. – disse la vecchia, guardando di malanimo il cane.
 Ven non ebbe neppure il tempo di essere preso dal panico.
  – Vieni fuori e assecondami. – gli ordinò la ragazza.

– Continua il prossimo fine settimana –

4 commenti:

  1. Questa parte mi ha coinvolta più della prima, e sono veramente curiosa di leggere il seguito! :)

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    1. Adesso inizia a succedere qualcosa e pian piano i caratteri dei personaggi iniziano a delinearsi.

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  2. Sarà che so quanto apprezzi la Le Guin, ma sento gli echi della sua voce... (lo sai che non è offensivo, tutt'altro!). :)

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    1. Beh, credo che un po' sia inevitabile, sopratutto quanto scrivo fantasy. Il problema è che comunque il confronto rimane impietoso.

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