C'è una cosa che come lettrice mi conquista, ma che come autrice faccio ancora fatica a gestire: immergermi in un mondo davvero diverso dal mio. Ci sono molti libri che amo e che descrivono la mia realtà, ma se penso a quelli che porterei nella proverbiale isola deserta, allora la fanno da padrona opere che mi portano altrove. Mi affascina il diverso, l'entrare in contatto con qualcosa ne non è il mio modo di vivere e di pensare.
Quando scrivo "mondo altro", la mente corre subito al fantasy, ma in realtà ci sono molte storie che si ambientano in un mondo diverso dal nostro.
Storie ambientate in luoghi lontani con condizioni socio-economiche e ambientali diverse dalle nostre.
Storie ambientate nel passato.
Storie ambientate nel futuro.
Storie ambientate in un altrove che non ha alcuna relazione con la nostra realtà.
In tutti questi casi l'autore dovrà il lettore al di fuori dalla sua realtà, da quello che conosce e che giudica normale e logico. A ben vedere, non ritengo queste quattro categorie così diverse. L'unica che ha davvero una differenza sostanziale è la prima, perché può basarsi su una solida esperienza personale. Posso ambientare una storia in Groenlandia dopo esserci stata, invece il passato, il futuro e l'altrove alternativo mi sono parimenti preclusi. Le difficoltà, quindi sono affini.
RENDERE CREDIBILE IL PROPRIO MONDO
Si fa sempre l'esempio di Tolkien che ha inventato tutte le lingue della Terra di Mezzo, con tanto di grammatica e storia della lingua per rendere credibile il suo mondo. Non è precisione maniacale è quello che serve. Per costruire un mondo altro bisogna cesellarlo nei più piccoli dettagli.
Come parlano, come pensando i suoi abitanti? Come il mondo che abitano influisce sulla loro vita?
Non bisogna dare per scontato, ad esempio, che il mondo del passato fosse lo stesso di oggi o venisse vissuto come oggi. Basti pensare alla continua paura dei contagi, delle pestilenze, al fatto che ogni ferita, se si infettava, era potenzialmente letale. Tutte paure oggi in gran parte dimenticate e che influivano moltissimo non solo sullo stile di vita, ma anche sul modo di pensare, sulla scala dei valori. Basti pensare che perdere un figlio sotto i tre anni era cosa tanto comune che quasi erano guardati male i genitori che lo piangevano, oggi è una disgrazia immane.
Un mondo totalmente altro porrà poi, ulteriori difficoltà. Ogni variazione, di clima, di flora, di fauna rispetto al nostro presente avrà delle ripercussioni sul modo di vivere e di pensare degli abitanti.
LA PAURA DI SPAESARE IL LETTORE E IL MONDO EDULCORATO
La cosa che più mi irrita, da lettrice è "l'altrove addomesticato" cioè un mondo diverso dal nostro, ma non così tanto da spaventare il lettore.
Mi irrita particolarmente quando si parla di un passato storico edulcorato delle parti che possono disturbare il lettore moderno. Ricordo in particolare una saga ambientata nell'antica Roma dove nessuno dei personaggi si divertiva ad andare a vedere i giochi gladiatori, tutti trattavano bene gli schiavi e Giulio Cesare era un giovanotto romantico fedele alla propria moglie.
Irritazione non troppo diversa mi coglie quando in un fantasy simil medioevale ci sono le guerre, sì, ma nessuno si fa male davvero, di saccheggi non si parla e tutti agiscono secondo le regole della cavalleria. Se c'è un enorme merito che ha Martin e le sue Cronache del Ghiaccio e del Fuoco è quello di mostrare un medioevo alternativo ma credibile, dove la gente viene massacrata, stuprata, storpiata e dove "tutti possono morire". Non è questione di sadismo, ma di coerenza.
Il primo consiglio che mi sento di dare, quindi, è di non aver paura di spaesare il lettore e di non edulcorare il mondo che si vuole raccontare.
Se dovessi raccontare una storia ambientata in un certo periodo nell'Isola di Pasqua o tra gli Anasazi, dove l'antropofagia era la norma, ebbene non dovrei pormi il problema di non spaseare il lettore. Dovrei avere personaggi che giudicano normale o comunque inevitabile il cannibalismo, senza per questo essere dei mostri.
COME PORTARE IL LETTORE IN UN MONDO ALTRO?
Quando ambientiamo una storia in un mondo diverso dal nostro non dobbiamo aver paura di spassare il lettore, ma dobbiamo comunque portarlo per mano in una realtà diversa e, in molti casi, in contrasto con la nostra e con quello che riteniamo buon senso. Per farlo ci sono tre sono le strategia più usate.
– Il protagonista viene dal nostro mondo/è più affine a noi
Può essere ad esempio un nostro contemporaneo che tramite macchina del tempo/portale/vai a sapere cosa, si trova catapultato in un mondo altro/in un'altra epoca. Vedrà la realtà con uno sguardo che è comunque affine al nostro e lo spaiamento del lettore sarà il nostro.
È il caso, ad esempio de Le cronache di Covenant o di Timeline
A volte il protagonista non viene direttamente dal nostro mondo, ma è comunque più affine al lettore degli altri personaggi che andrà a incontrare.
È il caso di Genly Ai, terrestre e inviato dell'Ecomune nello strano mondo di Gethen nel mio "romanzo-feticcio" La mano sinistra delle tenebre
Se ci fate caso, è anche l'espediente usato da Tolkien che, tra tutte le creature della sua Terra di Mezzo usa come protagonista degli hobbit, che sì, vivono in caverne e hanno i piedi pelosi, sono bassini e gioviali, ma sono relativamente simili agli abitanti dell'Inghilterra rurale. Tra gli hobbit, poi, Bilbo e Frodo sono particolarmente simili a gentiluomini di campagna e il lettore li percepisce come i più affini a lui tra tutti i personaggi presentati.
– Il protagonista è un'eccezione all'interno della sua società
Frodo e Bilbo sono i personaggi più simile al lettore ideale di Tolkien, ma sono comunque degli hobbit ben inseriti nel loro gruppo sociale.
A volte, dovendo presentare un altrove particolarmente alieno dove la "norma" è qualcosa che fa a pugni con il nostro senso comune, l'autore sceglie un personaggio che sia un diverso nella sua società, con dei valori più affini a quelli del lettori. Ad esempio, nella mia ipotetica epopea anasazi, un giovane anasazi che rifiuta in cannibalismo. In questo modo si racconta una società molto lontana dalla nostra, ma allo stesso tempo se ne prende le distanze e non si mettono in discussione i valori dei lettori.
Tra i tre espedienti è quello che amo meno, anche se nella mia adolescenza ho letto le avventure di Drizzt Do'Urden (per la serie, pessimi libri che comunque abbiamo amato...)
– L'autore fa proprio il punto di vista del/dei protagonisti
Con la prima persona o la terza limitata l'autore porta il lettore direttamente nella testa del/dei protagonista, fa vedere il mondo dai loro occhi e quindi appare normale ciò che al protagonista appare normale. Se l'autore è bravo, anche le cose più lontane dalla nostra sensibilità appariranno ovvie se percepite come tali dal personaggio. Amo molto le storie di questo tipo, ma mi limito a due esempi.
La saga dell'assassino di Robin Hobb in cui entriamo nella testa di un ragazzo istradato alla "nobile" carriera di assassino di fiducia del re.
Le ultime gocce di vino uno dei pochi romanzi capaci di portare davvero dentro alla mentalità della nobiltà ateniese del V secolo (piuttosto lontana da quella odierna).
Io come dicevo, amo molto questo genere di storie, ma mi rendo conto che non sono brava come vorrei a scriverle. Voi le amate? Le leggete? Che difficoltà incontrate, da lettori o da autori?