lunedì 25 aprile 2016

Letture – Kobane calling


Si può dire che un fumetto è la cosa più interessante (non più bella o più importante) uscita in Italia negli ultimi tempi?
Sarà il caso che si possa dire.
Piccolo riepilogo per i non fumettofagi.
Zerocalcare è un autore romano che si fa conoscere con il web e una serie di albi a fumetti in cui si pone come la voce di una certa parte della mia generazione (quelli diciamo sui trent'anni), giocando con i riferimenti (più o meno) culturali comuni, raccontando la disillusione nei confronti del sistema Italia, ma anche una non sopita voglia di impegnarsi e ragionare. 
Vende tanto, tantissimo, una quantità così imbarazzante di volumi che alla fine tutti devono occuparsi di lui, anche perché con Dimentica il mio nome è finalista al premio Strega. 
Da qui tutto un gran parlare di cosa sia e cosa voglia fare Zerocalcare, chiacchiere che a lui creano evidentemente un certo fastidio (raccontato ne L'elenco telefonico degli accolli). La domanda "chi è e cosa vuol fare Zerocalcare ora che tutti parlano di lui?", però, deve essere stata pressante in primis proprio per Zerocalcare.
Kobane calling è la risposta.

Prima di entrare nel merito credo sia il caso di fare una precisazione, perché solo da questo si può iniziare a ragionare su questa sorta di meteorite alieno caduto nell'editoria nazionale. Kobane calling non era una risposta scontata.
Zerocalcare non ha mai nascosto le sue idee e i suoi interessi, ma avrebbe continuato a vendere come caramelle anche con le sue storie di adolescenza allungata nella periferia romana. Invece si inventa fumettista d'indagine e va a Kobane per vedere che succede e raccontarlo col suo stile.
Ci va una prima volta, da cui nasce un primo reportarge per Internazionale (Con il cuore a Kobane), che rimane una sorta di ponte tra le storie di periferia romana e questo Kobane calling, che racchiude il primo reportage e, soprattuto, la cronaca di un secondo viaggio, fatto molto più in stile giornalista militante.
Nel primo reportage avevamo le impressioni di un ragazzo di Roma che va ai confini dell'Isis (sembrerebbe più o meno per caso) e ci racconta cosa vede. Nel secondo abbiamo un ragazzo che va per capire il movimento curdo, si sposta secondo un preciso  itinerario per capire e intervistarne i capi tra Turchia, Iraq e quel che resta della Siria.
Questo da parte di un ragazzo che avrebbe comunque continuato a vendere migliaia di copie raccontando di come sua madre non sa fare andare un computer. 
Quindi, per come la vedo io, onore al merito, a prescindere.

Il risultato finale è una cosa ben strana. Così strana che ancora non ho capito se questa stranezza è un limite o un valore aggiunto. Mi verrebbe da dire un valore aggiunto, ma ancora non ci metterei la mano sul fuoco.
Kobane calling  è un insieme di tante cose:
– diario personale di viaggio, con tutta una parte di angosce, momenti comici o surreali, sguardi e riflessioni personali.
– un'opera di giornalismo militante come non se ne vedevano da parecchio, scritta da qualcuno che ha una chiara idea politica e del mondo, lo dichiara, è vicino a una parte e si prende anche la responsabilità di raccontare in punti di vista di chi è ancora considerato terrorista (perché comunque il PKK continua a non essere un gruppo scout)
– una parte che il parte cozza con la precedente, vorrebbe aprirsi a un pubblico più vasto, capire e cercare di far capire una porzione di mondo raccontata male, ma con la consapevolezza di avere solo fonti curde, e che pertanto potrebbero essere capziose.
La cosa particolare è che queste due istante, quella del giornalista di parte e quella del desiderio di uno sguardo più oggettivo, danno tutta l'impressione di essere due anime dello stesso autore che ancora non ha scelto o non ha capito del tutto cosa vuole essere.
Quello che ne risulta è, appunto, qualcosa di nuovo anche nel panorama del fumetto d'inchiesta, nell'editoria italiana è una sorta di meteorite alieno.
Mi viene da dire che se c'è una cosa da leggere in Italia, oggi, è questo Kobane calling.
Un'opera per una volta di un artista in fieri, che non ha paura di fotografarsi a metà di un percorso, che si è messo in gioco andando a vedere di persona una realtà, il conflitto tra curdi e Isis, di cui tutti parlano, ma che pochi approfondiscono. Durante questo viaggio, è evidente, Zerocalcare stesso è cambiato profondamente e i pensieri, le emozioni e i dubbi di un ragazzo italiano di colpo a contatto con la guerra vera e di gente che davvero va a morire per una causa in cui crede sono forse la cosa migliore dell'opera.
Da tempo non mi capitava di leggere qualcosa che ponesse davvero una sfida al lettore.
Kobane calling non è e non vuole essere un'opere neutra. La finisci e ti poni delle domande (se non altro perché in ultima pagina scopri che comunque stai finanziando il movimento curdo e, almeno a me, un po' d'ansia l'ha messa, perché, appunto, non sono proprio gli scout), hai voglia di approfondire, di informati. Senti la necessità non tanto di prendere la stessa posizione di Zerocalcare, ma comunque di prendere posizione. E questa cosa di smuovere le coscienze è, nell'Italia di oggi, indispensabile.

E poi, però, mi rimane un dubbio. Kobane calling pare stia vendendo un sacco. Il che è bene. Mi chiedo però se questa sia un'opera per il grande pubblico. Da una parte è bella l'idea che moltissima gente sia chiamata a ragionare sulla nostra attualità, rispondendo comunque all'imperativo che pone il libro: informati! D'altra parte l'idea che ci siano case in cui questo volume stia tra L'intestino felice e l'ultimo libro di Vespa mi crea un senso profondo di malessere.
Kobane calling va di moda. Nonostante tutti i tentativi fatti da Zerocalcare per ribadire il suo non allineamento e il suo non essere una moda, va di moda.
Quindi magari ve lo regaleranno, anche se non vi importa niente di fumetti.
Nel caso, leggetelo.

2 commenti:

  1. Non è la prima recensione in cui mi imbatto su questo albo di Zerocalcare. A questo punto sono certa che lo leggerò e non solo, lo suggerirò ai miei alunni di terza.

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    1. Credo che per una terza media sia davvero un po' complicato, sia per i riferimenti geopolitici, sia perché bisogna comunque porsi in modo critico di fronte al testo e il linguaggio non è sempre "politicamente corretto". Lo vedrei meglio alle superiori. Però di sicuro lo consiglio a te.

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