Non è difficile intuire che in questi giorni sono un po' in affanno. Al contrario di quello che ancora molti credono, i prof dopo la fine delle lezioni lavorano eccome e se al rientro a casa, com'è giusto che sia, trovano una puppatola piena di energia e di voglia di giocare, il tempo per aggiornare il blog va un po' in fumo. Mi organizzerò. Per intanto portate pazienza.
Riassunto breve
Padre Marco, parroco e docente di religione in un liceo, è a Parigi come accompagnatore di alcune classi in gita. In un mattino di pioggia lui e gli altri colleghi si rendono conto che uno degli alunni, Livio Massenzio, è scomparso.
Parlando con i compagni di classe dello scomparso, si scopre che Livio aveva dato appuntamento a un ragazzo di un'altra scuola, anche lui in gita a Parigi. Questi, Massimo, di madrelingua francese, aveva organizzato per lui e l'amico l'incontro con una escort, Amelie. Massimo, tuttavia, è tornato da solo al proprio albergo dopo aver lasciato Livio ancora in compagnia di Amelie.
Padre Marco, in compagnia della collega Anita, si reca quindi nel quartiere di Pigalle alla ricerca di Amelie, sperando che lo scomparso si trovi ancora presso di lei. Scoprono, però, che il ragazzo ha lasciato l'appartamento della giovane prima dell'alba. Quando stanno per perdere le speranze, padre Marco riceve una telefonata: Massenzio è stato fermato poco dopo aver ricevuto un ingente quantitativo di droga da uno spacciatore e si trova in commissariato.
Padre Marco, in compagnia della collega Anita, si reca quindi nel quartiere di Pigalle alla ricerca di Amelie, sperando che lo scomparso si trovi ancora presso di lei. Scoprono, però, che il ragazzo ha lasciato l'appartamento della giovane prima dell'alba. Quando stanno per perdere le speranze, padre Marco riceve una telefonata: Massenzio è stato fermato poco dopo aver ricevuto un ingente quantitativo di droga da uno spacciatore e si trova in commissariato.
PARTE QUINTA
Livio Massenzio era senza dubbio una perfetta vittima sacrificale.
Quando la polizia era piombata su di lui, appena dopo che il ragazzo si era trovato in mano il pacchetto passatogli dallo spacciatore, non aveva neppure provato a scappare. Si era accasciato sul marciapiede, guardando con occhi persi, ancora rivolto alle esperienze della notte, mentre i due agenti gli gridavano contro in una lingua sconosciuta.
Si era fatto portare in commissariato inerte come un pacco e i poliziotti si erano fatti l’idea che tenerlo in fermo per qualche ora gli avrebbe schiarito lingua e idee. Del resto tutta l’operazione era scattata in seguito ai controlli e alle intercettazioni fatte sullo spacciatore parigino che si era accordato per consegnare la droga, già pagata in precedenza, a qualcuno che si era messo in contatto con lui su internet in perfetto francese.
All’alba, Livio non aveva recuperato la parola. Non aveva documenti ed era riuscito a stento a biascicare il suo nome, il cui suono non abituale aveva aperto tutta una serie di interrogativi nei poliziotti circa la sua nazionalità. Ci avevano messo ore, tra le ondate di panico del ragazzo che via via iniziava a rendersi conto del guaio in cui si era cacciato, per farsi un’idea di chi avessero preso e chi fossero le persone da chiamare. Infine il commissario che seguiva il caso era riuscito a farsi dire il nome della scuola di Livio e aveva telefonato al preside, che gli aveva dato il numero del cellulare di padre Marco.
E adesso padre Marco si trovava lì, seduto davanti al tavolo verde dell’ufficio del commissario G. Fulgence, a cercare di capire come riportare a casa il suo figliol prodigo.
Non sarebbe stato facile.
Livio Massenzio non rischiava di andare a baciare la vedova, come il protagonista del suo libro, ma era pur sempre stato arrestato in fragranza di reato con una dose industriale di cannabis addosso e qualche non trascurabile grammo di cocaina. Inoltre, come aveva predetto Sandrine, i poliziotti non avevano simpatia per gli italiani né, comprese Marco, per i preti.
– Andiamo, – stava dicendo Marco, riesumando il suo miglior francese – il ragazzo è capitato lì per caso. Non parla francese, non è stato lui a contattare il vostro spacciatore e poi è minorenne.
– Il fatto che non sia stato lui a contattare lo spacciatore non vuol dire che non fosse il destinatario originale della merce. Per mettersi d’accordo si sarà fatto aiutare da qualcuno che parlava e scriveva francese.
– Conosco Livio da quattro anni e le posso assicurare che non è assolutamente quel genere di ragazzo – si intromise Anita infervorata.
Marco si concesse un sorriso amaro. Cercò di immaginarsi il Livio che conosceva, tollerato dai compagni per la sua assoluta incapacità di nuocere e il suo istintivo calarsi nella parte del gregario, come il capobanda in una gang. La visione più improbabile del mondo. Del resto era consapevole anche che le loro parole non avevano alcun valore per il commissario G. Fulgence, che infatti ribatté:
– Perdonatemi, signora, ma lei vede il ragazzo solo quanto? Due, tre ore alla settimana? Non può certo essere sicura di conoscerlo. E un prete, naturalmente, deve sempre avere l’idea migliore possibile dei suoi ragazzi…
Marco scosse il capo. Non ne sarebbero usciti.
Massimo Di Cataldo, ovviamente, aveva organizzato tutto. Veniva spesso a Parigi con la madre francese, aveva avuto modo di conoscere lo spacciatore e pagarlo. Ma era troppo accorto per tornare a casa con quella quantità di roba addosso, anche considerato che aveva già compiuto i diciotto anni. Molto meglio far correre i rischi a Livio. Dopo avergli organizzato e pagato una notte di passione, gli aveva solo chiesto di recuperare per lui un pacchetto che un amico francese gli avrebbe dato e portarglielo una volta rientrati in Italia. Probabilmente Livio non aveva trovato nulla di sospetto in tutto ciò, o magari aveva anche capito tutto, ma che cos’era quel piccolo favore contro una notte con Sandrine?
Marco soppesò l’idea di regalare Massimo a Fulgence, sacrificandolo davvero come bue grasso per riavere il figliol prodigo. Aveva lui in tasca l’iphone di Massimo, sicuramente poteva trovarci dentro una traccia dell’ultimo accordo preso con lo spacciatore, magari con l’indicazione proprio del luogo in cui avrebbe trovato Livio, poco fuori la casa di Sandrine, e la descrizione di quest’ultimo. In effetti sarebbe stata giustizia. Sotto ogni punto di vista, Massimo si meritava, se non di incontrare la vedova, almeno di conoscere a fondo e per esperienza diretta la giustizia francese. E tuttavia Marco sapeva che il desiderio di incriminare Massimo aveva poco a che fare con suo senso di giustizia e molto con il fatto di essere stato chiamato “frocio represso”. E non credeva davvero che il carcere gli avrebbe giovato.
– Possiamo almeno vederlo? – stava intanto chiedendo Anita. – Tra poco dovremo avvisare i genitori, voglio poter dire loro che il ragazzo sta bene.
– Sì, questo è possibile – rispose il commissario. – La accompagno da lui.
–- Io intanto farò una telefonata – disse Marco, con tono casuale.
– A chi? – chiese Anita, in italiano.
– Al vescovo – rispose Marco, in francese. – La famiglia Massenzio sta finanziando i restauri della cupola di San Gaudenzio, a Novara. Sicuramente il vescovo vorrà essere informato di questi problemi. Si sentirà in dovere di fare qualcosa, credo, come capire perché un ragazzino minorenne sia stato tenuto per tante ore senza avvisare la sua famiglia e non sia stato interrogato con la presenza di un interprete. Sono sicuro che se avesse potuto parlare nella sua lingua, avrebbe fornito una versione dei fatti molto chiara e sarebbe stato palese a tutti come sia stato scambiato dallo spacciatore per qualcun altro. Del resto è ovvio che non si erano mai visti. Credo che questi particolari interesseranno molto all’avvocato che la curia parigina troverà al ragazzo e alla stampa.
Marco concluse il suo discorso con il più mite dei sorrisi.
Appena possibile, avrebbe dovuto farsi confessare.
Pensò al vescovo che ancora lo trattava come se fosse un pulcino a cui insegnare come becchettare, tanto era sicuro che un prete che era sempre vissuto tra seminari e università non avrebbe saputo destreggiarsi nel mondo. Si chiese vagamente se la famiglia Massenzio fosse almeno un poco religiosa.
Però, e questa era l’unica cosa importante, il commissario era impallidito.
Era un francese postrivoluzionario e anticlericale, per fortuna, e quindi disposto a credere a tutte le sciocchezze sull’influenza della chiesa e i poteri occulti della curia.
Continua e finisce il prossimo fine settimana.
Molto carino, aspetto il finale.
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