Nella foto, una parte delle donne del gruppo di lettura, compresa la più piccola. La pupattola questa volta ha partecipato attivamente, del resto il libro le è piaciuto al punto che ha tentato di divorarlo.
Il libro che è tanto piaciuto (non solo) alla pupattola è Cristo si è fermato ad Eboli
Ci sono libri che la mia generazione ha quasi dimenticato. Pietre miliari delle letture dei nostri genitori che noi, a meno di non aver incontrato un’insegnante di lettere particolarmente retrò, abbiamo saltato a piè pari. Molto spesso stanno a prendere polvere nelle librerie delle case, in vecchie edizioni dalla carta ormai ingiallita. Se ci cade lo sguardo li superiamo con una sorta di involontario disprezzo, noi che abbiamo letto tutti gli americani, i grandi russi e i sud americani. Che cosa mai potranno dirci questi libri provinciali di una generazione precedente?
Non è la prima volta che grazie al gruppo di lettura i miei pregiudizi si sgretolano contro l’inaspettata bellezza di questi libri eppure mi sono avvicinata con diffidenza a Cristo si è fermato a Eboli, temendo una supposta retorica e un’ipotetica pesantezza.
Oltre tutto le circostanze non sembravano giocare a favore del libro. Ormai la maggior parte dei testi li ordino, per lo più in cartaceo e se possibile usati, per i motivi affettivi che ho raccontato qui. Di solito Amazon o chi per esso (che io continuo a immaginare come la versione moderna e femminile di Ermes, una divina messaggera dai piedi alati che conduce con rapidi droni a destinazione i nostri acquisti) ha sempre fatto il suo lavoro in tempi ragionevoli. Questa volta, invece, il libro si deve essere fermato ad Ebola per far compagnia a Cristo che solo a lettura ultimata me l'ha re inviato. Mi è stato recapitato dieci giorni prima della data della riunione e quando l'ho aperto e ho visto che le pagine erano fitte fitte, senza un dialogo o una spaziatura a interrompere la prosa ho pensato che non l'avrei mai finito.
Tre pagine dopo avevo già cambiato idea.
La straniante impressione iniziale è stata quella di avere tra le mano un romanzo di fantascienza, perché di una certa fantascienza ricalca accidentalmente l’impianto.
Quello che tutti più o meno sanno del libro è che è il racconto del periodo passato dall'autore al confino in uno sperduto paese della Lucania, ma Carlo Levi non spreca una parola per spiegare i motivi che lo hanno condotto come confinato a Galiano-Aliano. C’è forse un accenno di una riga a un’esperienza carceraria e i motivi del suo antifascismo dovremo cercarli più avanti nelle sue azioni, piuttosto che nell’esplicitazione del suo pensiero. L’impressione, quindi, è quasi quella di un naufrago galattico caduto in un mondo sperduto al quale egli deve, suo malgrado, adattarsi. Ma il mondo sperduto, ignoto ed esotico ai miei occhi di lettrice del 2017, è quello delle nostre origini. Di un’Italia marginale e marginalizzata assai poco raccontata oggi come allora ma da cui, quasi tutti, in un modo o nell’altro proveniamo. Poco importa che sia la Lucania. In questo mondo dove la magia si affaccia prepotente, perché dà ancora più affidamento della scienza, popolato di vecchi, vedove che non sono tali, poiché i mariti probabilmente sono in America e figli di nessuno ho riconosciuto l’eco dei ricordi di mio nonno, veneto, ascoltati da bambina e mai veramente compresi. Quale fosse davvero il peso della disperazione che portava chiunque potesse a cercare con ogni mezzo fortuna altrove, lasciando figli che non si sarebbero visti se non adulti e mogli che quasi certamente avrebbero trovato consolazione in altre braccia, l’ho percepita nella descrizione di Matera. Quella attraverso i Sassi è, nel racconto riportato della sorella di Carlo, una discesa infernale in un mondo che ho intravisto, forse, solo in certi documentari sulle favelas o su Calcutta, con i bambini ammassati in strada, ricoperti di mosche, che chiedono con voci stentate medicine e non soldi. Un’umanità piegata da malattie talmente dimenticate che il lettore di oggi deve ricorrere a ricerca in rete per raccapezzarcisi.
Nel terrore al pensiero della morte di una scrofa, ho ricordato un discorso di mio nonno, sentito chissà quando nella mia infanzia, in cui si vantava di essere il primo della sua famiglia per cui la morte della mucca era una tragedia sopportabile. Per suo padre, suo zio e chiunque altro della generazione precedente era preferibile piuttosto quella di un figlio.
Sarà banale e buonista la domanda che mi è venuta spontanea: con che diritto noi che per generazioni siamo emigrati fuggendo a queste condizioni adesso vorremmo negare una fuga analoga ad altre persone?
Su tutto, poi, grava il peso di uno stato non peggiore in quanto fascista, ma incomprensibile, che si palesa solo sotto forma di richieste. Tasse, anche sulla miseria, come la tassa sulle capre e vite nella forma di soldati da mandare in guerra. Guerre, tasse e malattie sono disgrazie di uguale natura, vengono dall’alto e non c’è altra possibilità che cercare di evitarle. Ci si sottrae allo stato come si cerca di evitare la malaria. E i briganti, che quando scrive Levi gli anziani ancora ricordano, diventano delle figure mitiche, non tanto per le motivazioni che li hanno spinti, ma per il solo per aver agito. Hanno lo stesso rispetto che si porta per qualcuno che ha strenuamente lottato contro la malattia.
C’è in questa attitudine a considerare lo stato e l’autorità in senso lato come qualcosa da cui non può che provenire del male e quindi a cui sottrarsi con ogni mezzo, molto del disagio di un’Italia di oggi. Proprio come ogni altra identità statale precedente, forse fino all’epoca dei romani, anche l’Italia del dopoguerra non ha saputo o voluto ascoltare le necessità delle tante Aliano di cui è disseminata perpetuando un’atavica sfiducia nell’autorità, troppo spesso più che giustificata, che è ormai endemica.
A decenni di distanza, non resta che constatare come questo nuovo stato costruito sul cittadino inteso come rete di rapporti, ipotizzato da Carlo Levi nelle ultime pagine del romanzo non si è mai voluto realizzarlo.
Quello che ho più amato del romanzo, ammesso che romanzo possa definirsi, però, è più taciuto che esplicitato ed è lo sforzo di comprensione di Carlo Levi. Immagino quanto distante dovesse essere un artista e intellettuale piemontese, abituato a frequentare un certo mondo, dai contadini impregnati di magia di Aliano. Eppure non si limita a descrivere un mondo tanto diverso dal suo. Via via che le pagine proseguono alla distanza e alla sconforto per essere finito in un luogo simile si sostituisce la comprensione di quel mondo. Lo sguardo di Carlo Levi è quasi sempre assai poco giudicante o paternalistico. E alla fine, proprio come lui, non possiamo non affezionarci ad Galiano e alla sua gente. Questo approccio non giudicante nei confronti dell'altro, l'accettare di mescolarcisi, di sporcarsi le mani è alla base di ogni incontro di culture.
Sono sempre banale buonista, ma viviamo in un mondo in cui la paura ci spinge a trattare sempre più l'altro come un alieno incomprensibile, se va bene inferiore o stupido, se va male non del tutto umano e l'unico modo per cercare di buttare un ponte verso l'altro rimane questo. Accettare di mescolarci, sporcarci e cercare di comprendere prima di giudicare.
Sono sempre banale buonista, ma viviamo in un mondo in cui la paura ci spinge a trattare sempre più l'altro come un alieno incomprensibile, se va bene inferiore o stupido, se va male non del tutto umano e l'unico modo per cercare di buttare un ponte verso l'altro rimane questo. Accettare di mescolarci, sporcarci e cercare di comprendere prima di giudicare.
Compassione più che comprensione, secondo me.
RispondiEliminaSecondo me anche comprensione. Non si ferma a dire "poverini", ma sa mettersi nei loro panni (poi magari diamo lo stesso significato a due parole diverse)
EliminaLetto in gioventù.Hai fatto bene a parlare di questo libro. Che è qualche cosa di più, di un semplice libro. Hai fatto anche bene a ricordare i parallelismi con il fenomenno delle migrazioni. In fondo il "contadino" descritto da Levi, anche allora non veniva cosiderato umano dai "signori", dai fascisti. Odiati proprio per il contrario, perché rappresentano "l'indomabile umano profondo"
RispondiEliminaOnore al merito a chi l'ha proposto al gruppo di lettura, questo libro rientra nella categoria "di mia spontanea volontà non lo avrei mai letto", perché temevo (chissà poi perché) una retorica paternalista. Invece mi ha incantato.
EliminaL'ho proposto io!
EliminaGrazie di cuore! Non ricordavo, avrei scommesso su Elena, sbagliando.
EliminaOttimo. Lettura importante.
EliminaCredo di averne una copia a casa dei miei, era piaciuto molto a mia mamma e ogni tanto lo cita.
RispondiEliminaSandra
Te lo consiglio, anzi, devi leggerlo, è davvero un pezzo importante della nostra letteratura.
EliminaIo l'avevo dovuto leggere al liceo come lettura estiva, e quindi lo ricordo molto vagamente, ma mi aveva commosso proprio per questo sguardo poco lacrimoso, ma estremamente lucido. Avendo visto con i miei occhi i sassi di Matera lo scorso anno, mi sono chiesta come potessero viverci dentro famiglie intere insieme con gli animali, e oggetti di vita quotidiana. Però la situazione non era molto diversa dalle parti di mia mamma, trentina, in certe valli dove la misera era all'ordine del giorno. Mi è piaciuto molto anche il tuo paragone con un romanzo di fantascienza. Brava anche la pupattola, ormai forte lettrice, anzi "divoratrice"! Gnam!
RispondiEliminaCredo che l'Italia dei margini si assomigliasse un po' tutta, a me ha ricordato il veneto dei miei nonni paterni.
EliminaQuanto alla fantascienza, non ho controllato, ma sono quasi sicura che gli echi che ho riconosciuto nel romanzo che cito sempre, La mano sinistra delle tenebre non siano casuali. L'autrice è laureata in letteratura italiana di cui è un'ottima conoscitrice, non mi sembra che l'abbia citato nelle interviste tradotte, ma non escludo affatto che lo abbia letto. Sarebbe un'altra prova di quanto è universale quest'opera, in grado di parlare a persone lontanissime dalla Lucania che descrive.
Domenica scorsa ho divorato in un giorno, causa malattia, "Il cacciatore di aquiloni". Ho passato una giornata nell'Afghanistan dagli anni '70 a oggi, chiedendomi come cose possibile che esistesse - esista- una sorta di Medioevo a due passi da noi, a due decenni da noi. Immagino che il libro di cui parli faccia un'impressione simile. Poco prima del Medioriente, anche qui era Medioevo. E per una pura fatalità abbiamo avuto la fortuna di prendere la strada dell'"evoluzione", anziché ricadere in un baratro pure peggiore come è successo laggiù.
RispondiEliminaPer non parlare del fatto che su alcune ricadute nel baratro l'occidente non è del tutto innocente...
EliminaCristo si è fermato a Eboli è stato uno dei miei primi romanzi non di genere. Prima leggevo solo fantascienza, e credo sia stato un obbligo scolastico in prima superiore. Però stranamente mi piacque molto e segnò il passaggio alla letteratura non di genere. Forse, allora, c'entra la fantascienza.
RispondiEliminaAl di là di questo era già mia intenzione riprenderlo in mano, spero di farlo a breve, anche con il tuo stimolo. Mi ricordo però un'unica scena che cambiò per sempre il mio atteggiamento verso «gli altri». Sai quando un libro è capace di cambiarti per sempre almeno in un aspetto della vita? Carlo Levi racconta una sua visita a dei malati (mi pare sia un medico, giusto?) in cui entra nei Sassi e si accorge dell'estrema povertà in cui vivono queste persone.
Gli viene offerto da bere,. Si accorge però che il bicchiere in cui è versato il vino è lurido. Potrebbe rifiutare, ma la generosità dell'offerente e il condividere la loro povertà, e non fingere di condividerla, lo portano a bere senza ripensamenti. Almeno, io me la ricordo così la scena, l'unica che è sopravvissuta fino a oggi alla lettura che feci.
Credo che sia un buon criterio per capire gli altri, questo. Vivere come l'altro anziché giudicarne lo stato sociale o il livello di povertà. So di gente che ama l'Africa, ma è pronta a lamentarsi che non c'è l'aria condizionata quando la visita.
Helgaldo
Sforzarsi di capire, prima di giudicare, sì. Sembra banale ma non lo è.
EliminaNon l'ho mai letto, pur essendo fra i libri che posseggo. Non so perché non scatti in me questa volontà, forse perché ne conosco i contenuti, e tu fai una descrizione che completa il mio quadro, forse perché io dal sud sono scappata, e diversi aspetti mi ricorderebbero quella realtà, pur se sono cresciuta in un paesino affacciato sul mare che ben poco assomiglia ai Sassi.
RispondiEliminaIo ero piena di pregiudizi riguardo a questo libro e invece l'ho amato, quindi non posso che consigliarti di dargli una possibilità
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