Questa è la storia di una sconfitta. La mia sconfitta di fronte a un libro che ho fortemente voluto leggere, votandolo con entusiasmo come lettura estiva al gruppo di lettura.
Solo quest'anno, in cui ho letto sensibilmente meno del solito per ovvi motivi, mi sono scofanata tre saggi e un romanzo non proprio formato XXS sul rinascimento (Il tormento e l'estasi). E allora perché, perché questo romanzo mi ha sconfitto?
Amo il rinascimento, amo i romanzi storici, specialmente se in prima persona e scritti da donne. Memorie di Adriano è tra i miei libri della vita.
Rinascimento privato, infatti, altro non è che la biografia romanzata di Isabella d'Este, signora di Mantova, scritto in prima persona, inframezzato dalle lettere da lei ricevuto da parte di un ammiratore (nonché prete) inglese.
Credo che il problema sia stato il cozzare dell'immagine di Isabella d'Este già presente nella mia testa e quella presentata in un romanzo che ne dovrebbe ripercorrere la vita.
Ricordo una piacevole vacanzina natalizia a Mantova e la visita alle stanze di Isabella
Una delle stanze private di Isabella |
Ricordo in particolare, all'interno della sua collezione di antichità, una stata di Apollo, nudo e in tutta la sua bellezza greca. Avevo commentato con il Nik sul carattere di una donna rinascimentale che ammirasse spudoratamente una simile statua, ottima risposta ai ripetuti tradimenti del marito.
Isabella d'Este, vera signora di Mantova, estimatrice d'arte, fine politica, figlia del suo tempo mi si mostrava in quelle stanze in tutta la sua forza.
Studio di Leonardo da Vinci per un ritratto di Isabella d'Este |
Ecco, questa donna io nel romanzo non l'ho ritrovata.
Forse non ho ritrovato l'Isabella della mia immaginazione.
In fin dei conti non posso dire che con assoluta certezza che Maria Bellonci si sia sbagliata, l'utilizzo delle fonti è impeccabile. Ma alla mia sensibilità di donna e di storica l'Isabella del romanzo non suona autentica. Mi sembra un normalizzazione ad uso delle donne borghesi a cui il romanzo si rivolge.
In fin dei conti non posso dire che con assoluta certezza che Maria Bellonci si sia sbagliata, l'utilizzo delle fonti è impeccabile. Ma alla mia sensibilità di donna e di storica l'Isabella del romanzo non suona autentica. Mi sembra un normalizzazione ad uso delle donne borghesi a cui il romanzo si rivolge.
Già il titolo avrebbe dovuto essere un campanello d'allarme. Rinascimento Privato. Se c'è stato un momento in cui di privato non c'è stato nulla, questo è stato il Rinascimento. E Isabella ha vissuto alla luce del sole tutto, il matrimonio combinato e palesemente infelice, la sua troppo spiccata abilità politica che la faceva apprezzare più dagli avversari che dai dai famigliari, l'amore spregiudicato per l'arte e la bellezza. Era a capo della migliore rete di spionaggio d'Europa e usava con abilità e precisione chirurgica la mole di informazioni che riceveva. Il suo rinascimento si può definire "privato" solo perché sapeva tutto del privato degli altri.
Tutto questo nel romanzo si riduce alla storia di una donna dalle troppe virtù. Consapevole, sì, di essere la più adatta a governare in un mondo in cui il governo è appannaggio dell'uomo, ma anche capace di tornare nei ranghi, sia pure con rammarico.
Ho trovato paradossale il fatto che fosse descritta come una moglie devota di un uomo che non aveva scelto, che è palesemente un cretino e che di fatto Isabella tiene il più possibile lontano da Mantova e dal governo. Nel romanzo però lei lo ama ed è solo controvoglia ed accidentalmente che lo lascia anni come ostaggio non riscattato. Mi è sembrato che l'autrice fosse impegnata a costruire il ritratto di una donna ideale e sarebbe stato brutto attribuirle nei confronti del marito un sentimento che non fosse amore. Quasi a dire che anche se non si ha scelto il marito, questo è un completo idiota e continua a tradire, una brava moglie deve comunque essere devota, leale e se possibile innamorata. Personalmente ho dei seri e storicamente sensati dubbi che Isabella desiderasse così tanto il ritorno del marito, quando questi era prigioniero...
L'amore per l'arte e l'uso spregiudicato che Isabella ne fa, usando l'arte come arma politica e gli artisti come informatori, passa assolutamente in secondo piano. Gli artisti che passano da Mantova vengono nominati di sfuggita, più come tocchi di colore ed elementi della scenografia, che non come tasselli fondamentali di quel mondo complesso che era il rinascimento. Addirittura Mantegna, che vive a corte fino al 1506, non ha una singola battuta. Mi è persino venuto il dubbio che l'autrice non avesse ben chiaro il ruolo politico che aveva allora l'arte, relegando questo aspetto centrare a una questione di buon gusto personale di Isabella.
Quello che davvero mi ha irritato, però, è una vicenda che attraversa tutto il romanzo.
All'inizio della narrazione Isabella incontra un giovane prete inglese, tale Pole che è palesemente innamorato di lei. Per tutta la vita Pole continua a scrivere a Isabella lettere che la donna conserva, ma a cui non risponde mai.
Ora, qui sorgono diversi problemi che trasformano quelle che rimangono le pagine (a mio gusto) più ispirate del romanzo in un polpettone storicamente imbarazzante.
Innanzi tutto all'epoca un Pole, prete inglese, c'era davvero. Era Reginald Pole, il capo degli spirituali, una corrente spirituale vicina alle chiese riformate di cui ha fatto parte anche Michelangelo. Reginald Pole è stata a un passo dal diventare papa, per poi morire in odore di eresia. È una figura importante e controversa, di cui tutto le opere sono finite distrutte, di certo era un teologo di prim'ordine. Ora se in un romanzo ambientato in quegli anni mi metti un Pole, prete inglese, io mi aspetto, quanto meno, che sia ispirato a questa figura e che quindi vengano tirate in ballo tutta una serie di tematiche inerenti alla fede e alla corruzione della chiesa. È una questione di aspettativa che tu, autore che ti presenti come colto, generi nel lettore che conosce un minimo ciò di cui stiamo parlando. Aspettativa del tutto disattesa. Il Pole del romanzo è un romantico inguaribile che si bea di un amore idealizzato e viene utilizzato dall'autrice più che altro per presentare fatti e personaggi che, tenendo l'esclusivo punto di vista di Isabella, sarebbero stati esclusi dalla narrazione. Al di là delle aspettative, ho trovato di pessimo gusto dare a questo slavato innamorato il nome di un combattente della fede, che è arrivato a un passo dal rogo per le sue idee (e lo ha evitato solo perché è morto prima).
La seconda cosa che non ho mandato giù di questa vicenda è che Isabella è terrorizzata dal fatto che queste lettere possano essere trovate. Lei non ha mai risposto, Pole l'ha visto una volta, e non c'è nulla di compromettente nelle parole dell'inglese. Nel contesto storico in cui vive Isabella la sua paura è ridicola (di sicuro Isabella conservava documenti assai più pericolosi, ricordiamo che aveva la migliore rete di spie d'Europa). Questa è un'epoca in cui l'amore platonico e idealizzato come quello di Pole per Isabella poteva benissimo essere dichiarato alla luce del sole. Senza scandalo alcuno Lorenzo de Medici, sotto gli occhi della moglie dedica un torneo a un'altra donna (sposata) e Bembo fa realizzare da Leonardo il ritratto della donna a cui è legato da amore platonico. Costei è sposatissima, ma il quadro non le genera nessun imbarazzo. L'amore platonico, dichiarato ma non consumato, era una sorta di gioco socialmente accettato nelle corti dell'epoca. Mi chiedo che livello di coinvolgimento emotivo comportasse e cosa ne pensassero davvero i legittimi consorti, ma che fosse accettato è un fatto. E anche gli amori tutt'altro che platonici erano sostanzialmente accettati. La cognata di Isabella d'Este era Lucrezia Borgia, sì, quella Lucrezia e l'amante di Lucrezia era il marito di Isabella. Il fatto che Lucrezia avesse come amante il signore di Mantova era di dominio pubblico e non le ha causato particolare danno (a parte la comprensibile antipatia di Isabella). Ora, in questo contesto, vergognarsi per delle castissime lettere mi sembra eccessivo, fino a diventare comico.
Tutto il romanzo mi è sembrato una versione addomesticata del Rinascimento e della stessa Isabella, ricoperta dall'autrice di troppe virtù per essere quella donna spregiudicata che altre fonti ci raccontano.
Mi è mancata la complessità dell'epoca, risolta come un riassunto di fatti e privata della profondità intellettuale e speculativa che l'ha caratterizzata.
Nella mia testa si è creato un inevitabile derby con Il tormento e l'estasi, vinto da quest'ultimo. Il romanzo di Irving Stone non è privo di errori storici e di ingenuità, alcune mi hanno fatto anche tenerezza, ma vi ho trovato lo sforzo di descrivere nella sua interezza un mondo complesso e di non normalizzare un personaggi spigoloso. Riniscimento Privato per certi versi è più accurato, ma omette, semplifica, smussa gli angoli. Mi è sembrato scritto apposta perché le prof di liceo benpensanti potessero darlo da leggere agli alunni, sicure che la protagonista non le avrebbe messe in imbarazzo o discusso i loro valori e questo sospetto me l'ha reso terribilmente antipatico.
PS: di solito posto il commento al libro dopo la riunione, ma, dato che il tempo va colto quando c'è e che comunque i libri a questo giro sono due, per una volta infrango la mia regola, anche se mi riservo di scrivere ancora qualcosa in merito se uscissero commenti illuminanti, magari in grado di farmi cambiare idea.
Ora, qui sorgono diversi problemi che trasformano quelle che rimangono le pagine (a mio gusto) più ispirate del romanzo in un polpettone storicamente imbarazzante.
Innanzi tutto all'epoca un Pole, prete inglese, c'era davvero. Era Reginald Pole, il capo degli spirituali, una corrente spirituale vicina alle chiese riformate di cui ha fatto parte anche Michelangelo. Reginald Pole è stata a un passo dal diventare papa, per poi morire in odore di eresia. È una figura importante e controversa, di cui tutto le opere sono finite distrutte, di certo era un teologo di prim'ordine. Ora se in un romanzo ambientato in quegli anni mi metti un Pole, prete inglese, io mi aspetto, quanto meno, che sia ispirato a questa figura e che quindi vengano tirate in ballo tutta una serie di tematiche inerenti alla fede e alla corruzione della chiesa. È una questione di aspettativa che tu, autore che ti presenti come colto, generi nel lettore che conosce un minimo ciò di cui stiamo parlando. Aspettativa del tutto disattesa. Il Pole del romanzo è un romantico inguaribile che si bea di un amore idealizzato e viene utilizzato dall'autrice più che altro per presentare fatti e personaggi che, tenendo l'esclusivo punto di vista di Isabella, sarebbero stati esclusi dalla narrazione. Al di là delle aspettative, ho trovato di pessimo gusto dare a questo slavato innamorato il nome di un combattente della fede, che è arrivato a un passo dal rogo per le sue idee (e lo ha evitato solo perché è morto prima).
La seconda cosa che non ho mandato giù di questa vicenda è che Isabella è terrorizzata dal fatto che queste lettere possano essere trovate. Lei non ha mai risposto, Pole l'ha visto una volta, e non c'è nulla di compromettente nelle parole dell'inglese. Nel contesto storico in cui vive Isabella la sua paura è ridicola (di sicuro Isabella conservava documenti assai più pericolosi, ricordiamo che aveva la migliore rete di spie d'Europa). Questa è un'epoca in cui l'amore platonico e idealizzato come quello di Pole per Isabella poteva benissimo essere dichiarato alla luce del sole. Senza scandalo alcuno Lorenzo de Medici, sotto gli occhi della moglie dedica un torneo a un'altra donna (sposata) e Bembo fa realizzare da Leonardo il ritratto della donna a cui è legato da amore platonico. Costei è sposatissima, ma il quadro non le genera nessun imbarazzo. L'amore platonico, dichiarato ma non consumato, era una sorta di gioco socialmente accettato nelle corti dell'epoca. Mi chiedo che livello di coinvolgimento emotivo comportasse e cosa ne pensassero davvero i legittimi consorti, ma che fosse accettato è un fatto. E anche gli amori tutt'altro che platonici erano sostanzialmente accettati. La cognata di Isabella d'Este era Lucrezia Borgia, sì, quella Lucrezia e l'amante di Lucrezia era il marito di Isabella. Il fatto che Lucrezia avesse come amante il signore di Mantova era di dominio pubblico e non le ha causato particolare danno (a parte la comprensibile antipatia di Isabella). Ora, in questo contesto, vergognarsi per delle castissime lettere mi sembra eccessivo, fino a diventare comico.
Tutto il romanzo mi è sembrato una versione addomesticata del Rinascimento e della stessa Isabella, ricoperta dall'autrice di troppe virtù per essere quella donna spregiudicata che altre fonti ci raccontano.
Mi è mancata la complessità dell'epoca, risolta come un riassunto di fatti e privata della profondità intellettuale e speculativa che l'ha caratterizzata.
Nella mia testa si è creato un inevitabile derby con Il tormento e l'estasi, vinto da quest'ultimo. Il romanzo di Irving Stone non è privo di errori storici e di ingenuità, alcune mi hanno fatto anche tenerezza, ma vi ho trovato lo sforzo di descrivere nella sua interezza un mondo complesso e di non normalizzare un personaggi spigoloso. Riniscimento Privato per certi versi è più accurato, ma omette, semplifica, smussa gli angoli. Mi è sembrato scritto apposta perché le prof di liceo benpensanti potessero darlo da leggere agli alunni, sicure che la protagonista non le avrebbe messe in imbarazzo o discusso i loro valori e questo sospetto me l'ha reso terribilmente antipatico.
PS: di solito posto il commento al libro dopo la riunione, ma, dato che il tempo va colto quando c'è e che comunque i libri a questo giro sono due, per una volta infrango la mia regola, anche se mi riservo di scrivere ancora qualcosa in merito se uscissero commenti illuminanti, magari in grado di farmi cambiare idea.
Pur non conoscendo il personaggio e nemmeno il libro ho letto volentieri le tue impressioni. Penso che vantare certe competenze aiuti a fare delle analisi concrete, cosa che invece molti scrittori sottovalutano quando concepiscono le loro storie: spesso pensano al lettore solo come un usufruitore di storie ben raccontate, ma chi legge e conosce l'argomento non può non notare ingenuità involontarie o volute, come in questo caso. Ed è normale rimanere delusi.
RispondiEliminaA volte ci si gusta meno un libro, però...
EliminaRicordo di aver iniziato questo romanzo una decina di anni fa, e di averlo abbandonato per motivi che non ricordo. Probabilmente non riusciva a coinvolgermi. Io ora sono alle prese con il quinto volume della saga dei Cazalet. Intanto ti domando: cosa mi dici de "Il tormento e l'estasi"? :)
RispondiEliminaA me "Il tormento e l'estasi" è piaciuto molto. È un libro datato, nel senso che l'autore aveva dei materiali ormai superati su cui documentarsi, si basava sulle opere non restaurate di Michelangelo (da cui delle pagine sui colori scuri ormai ridicole) e sulla versione censurata dei sonetti (con esiti quasi comici, in certi punti, a inventarsi donne e a giustificare il perché non se ne sappia niente). Però esce un ritratto potente di un periodo complesso e di un personaggio spigoloso.
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