Che poi, adesso, non ho neppure il tempo per pensare a una nuova storia.
Che con tutto quello che ho nel cassetto e che non riesco neanche a proporre per una pubblicazione, non ha senso proprio scrivere altro.
Magari rimetto mano a qualche progetto vecchio, solo per me.
Qualche racconto, se capita, senza impegno.
E poi, sento di non aver neppure più idee.
Ecco.
Perché, poi, avere qualcosa da scrivere è una scocciatura. È un impegno constante. Iniziare un romanzo è come decidere di portare a casa un cucciolo. Non è che a un certo punto lo puoi abbandonare in autostrada. Gli va dedicato del tempo ogni giorno. Ogni santo giorno. Come un cagnolino che va portato a fare la passeggiata anche quando piove e fa freddo.
Ecco.
Magari scrivo un racconto. Breve. Così, per provare.
Un genere nuovo. Così, per giocare.
E poi è un'idea folle. Folle e mezza rubata, per di più.
Che tanto so che quel protagonista non lo saprei neppure gestire.
E infatti quel protagonista si fa da parte.
Il problema è che ne salta fuori un altro.
Io non avevo nessuna intenzione di scrivere di lui. È lui che ha tutte le intenzioni di farmi scrivere di lui.
Che poi, scrivere per ragazzi non è nelle mie corde.
Che poi, che ci azzecco io con la fantascienza?
Che poi, neanche so, questo, cosa mai potrebbe pensare, fare o dire. Cioè, non ci azzecca proprio niente con me, questo protagonista.
E il mondo in cui si muove? Io non ne so niente. Non voglio saperne niente.
Va beh, facciamo così.
Iniziamo con un racconto, ok, poi vediamo come va. Insomma, non è che puoi entrare nella mia testa e dire con quel fare prepotente che io devo scrivere di te. Cos'è che mi stai dicendo?
– Dopo una storia con tre protagoniste di settant'anni mi sembra giusto che il prossimo protagonista sia un dodicenne?
A me non sembra così giusto.
Guarda che c'è parecchia gente in coda, qui, con la sua storia in mano.
Va bene, va bene. Iniziamo con un racconto.
Iniziamo.
Non ti prometto niente. Guarda che ho il lavoro, l'anno di prova, una figlia...
Sì, si, va bene, proviamo solo. Poi si vedrà.
Vediamo come ti presenti. Vedi almeno di farmi una buona impressione.
Wolf si svegliò sicuro di non essere un lupo.
Appena aperti gli occhi, nella penombra della stanza stretta, osservando una parete vagamente convessa, si rese conto che non c’erano molte altre cose di cui potesse essere altrettanto certo.
Non era un lupo. Era un ragazzino, eppure Wolf era e non era il suo nome. Una parte, forse. E del resto era così che si sentiva. Una parte soltanto di un se stesso semi dimenticato.
Ecco, sono fregata. Però iniziamo con un racconto. E non ti prometto nulla.
Innanzitutto mi piace questo stile del tuo post, sono sincera, mi hai sorpreso: sei stata effervescente. Il tuo incipit (giusto?) mi piace perché incuriosisce questa ambiguità tra le due identità: lupo e ragazzino. Mi stona questa frase: Era un ragazzino, eppure Wolf era e non era il suo nome. Troppo incerto e contorto. Perché era o non era? Prenderei una decisione : o era o non era il suo nome.
RispondiEliminaEra e non era è estremamente importante. È il cuore del tutto e temo sia un cuore incerto e contorto.
EliminaE sul fatto che Wolf sia una parte del nome e che il nome per esteso riporta a suggestioni del tutto diverse da quelle a cui riporta il semplice Wolf mi sono fatta fregare.
Un dodicenne di nome Jack London? ;-)
RispondiElimina:)
EliminaNo, niente London, anche se il metaletterario abbonda.
Passo per lasciarti un saluto.
RispondiEliminasinforosa
Ti ringrazio
EliminaQuando si parla di lupi ci sono sempre. ;)
RispondiEliminaAttenzione, qui tutto è ingannevole, compresi i lupi
Elimina;)
W le novità, W le cose imprevedibili, pure i personaggi che importunano. 🙂
RispondiElimina:)
Elimina