La parola "pattinaggio" non credo sia mai stata usata sul questo blog.
Erano anni che non dedicato un pensiero al pattinaggio che non fosse frettoloso, unito magari a un sospiro per un qualcosa che, un tempo, aveva avuto un significato.
Forse, ognuno di noi ha un bagaglio di questi sospiri, passioni che non sono mai del tutto sbocciate, come fascinazioni adolescenziali che non si sono mai consumate.
Eppure il pattinaggio è stata la prima cosa che ho fortemente voluto. A tre anni, perché già allora avevo un carattere debole.
Abitavo allora in città, dove c'era una delle migliori accademie di pattinaggio su rotelle. E dato che per un problema congenito al ginocchio dovevo rafforzare le gambe (cosa che di fatto ha segnato la mia vita) i miei sono stati ben contenti di assecondarmi. Ho quindi iniziato uno sport particolare all'età giusta per farlo, imparando a trottolare e (quasi) a saltare nell'unico momento della vita in cui si può farlo.
È stata anche la mia prima vera rabbia. Al saggio, a sei anni, mi hanno fatto interpretare il ruolo di un maschietto, con un costume che non mi piaceva, e non ho più voluto andare, per ripicca. Cosa di fatto ininfluente, dato che, comunque nel giro di poco mi sarei trasferita con la famiglia in queste lande in cui non si conosceva bene la differenza tra un pattino e un vaso di fiori.
Di quella passione infantile è rimasto comunque il ricordo della sensazione inebriante, così simile al volo, che ben poco altro può dare, e una certa tecnica nel cadere senza farmi male che, a un'imbaranata cronica come me, si è rivelata utile più di una volta.
Chissà come, o meglio, sempre il fatto che il mio ginocchio ha bisogno di una muscolatura di supporto per non fare danni, mi sono trovata poi a praticare a livello agonistico uno sport che è l'estremo opposto. La corsa di resistenza è lineare, senza guizzi, con una fatica reale, ma spesso esibita o comunque mai negata. Nulla a che vedere con i volteggi apparentemente senza peso di atlete e atleti che esibiscono il sorriso anche se stanno morendo dal dolore.
Questo, credo, mi ha sempre affascinato, tanto che, ripensandoci, il nascondere la fatica e il dolore sotto un'apparenza di facilità, cosa che assolutamente non mi appartiene, è un tratto di molti dei miei personaggi.
Ho seguito a pezzi e bocconi il pattinaggio di figura, con una predilezione per quello maschile, all'incirca fino al 2006. Anno in cui, in pieno spirito olimpico (tra l'altro abitavo a Torino), mi sono trovata, per la prima volta da che avevo sei anni, a rimettere i pattini, questa volta da ghiaccio, scoprendo di saper ancora pattinare, ma di non avere idea di come frenare. Purtroppo, dato che non ci sono piste nei pressi del mio pur splendido paese e non avendo trovato compagni di scrivolata, anche questo ritorno di fiamma è durato poco.
Fino a settimana scorsa, quando una cara amica dichiara di avere un biglietto in più per il Programma Libero Maschile ai Mondiali di Milano.
Ho abbandonato tutti, marito, figlia, incombenze scolastiche e sono andata, richiamata da un'antica sirena.
L'effetto è stato stranissimo, l'essere investita da ricordi potenti ma difficili da mettere in sequenza. Non riuscire più a riconoscere i salti, anche se tutto sembrava famigliare. Non ricollegare i nomi dei pattinatori seguiti all'epoca alle loro esibizioni (se avessi ricollegato subito nome e viso attuale a certe esibizioni del passato non mi sarei permessa di soprannominare "Coso Buffo" così, anche se ora rimarrà Coso Buffo per sempre, temo). Emozionarmi per degli atleti mai visti prima, ma di cui in pochi passi si intuisce la storia.
Emozionarmi, come non pensavo fosse possibile per una cosa dimenticata.
Che poi certo, con tanti atleti assenti, compreso il detentore delle ultime due medaglie olimpiche, e tante prestazioni sotto tono, forse non è stata neppure una gara memorabile. Che poi, certo, questo regolamento che obbliga gli atleti a diventare dei saltatori folli anche quando sarebbe meglio astenersi non aiuta lo spettacolo, con l'assurdo di performance bellissime finite in graduatorie dietro ad altre con anche due o tre cadute.
Che poi, niente.
Mi sono emozionata come non pensavo.
I palazzetto dalla fine degli allenamenti, prima delle 9.30, alle 14, senza un istante di noia.
Qualche nota non proprio positiva solo all'organizzazione non impeccabile. Neppure un cartello chiaro che conducesse dall'autostrada al giusto parcheggio, bar interni senza cappuccini e brioche alle 9 del mattino e panini già esauriti alle 11 e un gran caos all'uscita con i flussi di chi tornava all'auto e chi entrava per al competizione del pomeriggio che continuavano a mescolarsi.
Ma ora, come farò a rimettere il pattinaggio tra le cose dimenticate?
Ora per altro che ben ricordo il problema di seguire uno sport ad altissimo tasso di infortuni rovinosi per una come me, che tendenzialmente tifa per tutti e per tutti si preoccupa? Ne uscirò emotivamente distrutta.
E a qualcun altro è capitato di sentire il richiamo delle cose dimenticate?
PS: un grazie infinite a Manu, che mi ha "pascolato" per tutta la giornata, un abbraccio di supporto al marito che da due giorni mi sente parlare solo di pattinaggio.
Ho visto le tue foto nello stato di whatsApp e immaginato fossi lì, collegafigo abita ad Assago e riferisce che in questi giorni c'è un gran casino di traffico intorno al Forum. Per il resto proprio a dicembre postai il mio ritorno sui pattini dopo 30 anni, mai feci un corso però, che mi inebriò tantissimo, per cui capisco benissimo il tuo immenso tuffo al cuore e sono felice tu abbia goduto di questi eventi.
RispondiEliminaSì, noi all'andata non abbiamo avuto nessun problema, entrate tra le prime, ma credo che non fosse chiaro (non lo era neppure dal sito) che il biglietto dava accesso anche agli allenamenti preparatori. L'uscita è stata un delirio. Immagino i poveretti che dovevano entrare per le gare del pomeriggio.
EliminaE sì, pattinare è sempre inebriante.
Ricordo con particolare affetto le mie pattinate con le cugine sulla pista accanto al fiume, in Val di Fiemme, là dove spiravano gelidi venti invernali. Però c'era anche la casetta dove ci si poteva riscaldare e bere qualcosa di caldo. Non ho più continuato nemmeno io, sigh. Contrariamente a tutti gli sport che ho provato, ero anche piuttosto brava.
RispondiEliminaPattinare è proprio bello e basta provare per scoprirlo.
EliminaAlla voce "richiamo delle cose dimenticate" per certi aspetti potrei metterci proprio la scrittura, nel senso che per alcuni anni avevo smesso di scrivere. Poi un giorno ho sentito la necessità di riprendere e l'ho fatto con la massima naturalezza, come se avessi interrotto l'attività non da sue anni ma da due giorni.
RispondiEliminaP.S.: io invece ho imparato a pattinare sul ghiaccio dopo i quarant'anni. Mia figlia voleva assolutamente andare in pista da neofita, io non me la sono sentita di lasciarla andare da sola, ho messo i pattini anch'io presupponendo chissà quante cadute, e invece... adesso è una cosa in più che mi piace fare :-)
Io penso di non poter vivere senza scrivere, il che è un po' inquietante, a pensarci.
EliminaE che bello imparare a pattinare, non importa a quale età.