lunedì 6 gennaio 2014

Scrittevolezze - Nell'occhio di chi guarda, gioie e dolori della narrazione in prima persona

Mentre l'epifania, purtroppo, le feste porta via, torno a ragionare sulla scrittura.

Nell'occhio di chi guarda, gioie e dolori della narrazione in prima persona.
Castelvecchi sta riproponendo alcuni romanzi storici degli anni '40 e '50, leggendo Le ultime gocce di vino e Il principe delle volpi, più o meno coevi, non può non saltare all'occhio come il romanzo scritto in prima persona, Le ultime gocce di vino, sia invecchiato meglio. Tanto scorrevole, immediato e affascinante mi è sembrato il primo, tanto prolisso, pesante e stereotipato ho trovato il secondo. La differenza non l'ha fatta certo solo la voce narrante, ma è ovvio che la narrazione in prima persona risulta più immediata.
Quando si legge una narrazione in prima persona si entra direttamente nella storia, le emozioni scorrono senza barriere dal personaggio al lettore. Se è vero che la bellezza sta nell'occhio di chi guarda, il lettore individua subito ciò che il personaggio trova bello o brutto, lo guarda con i suoi occhi e molte barriere vengono abbattute sul nascere.
Non a caso la prima persona funziona benissimo nelle narrazioni storiche, dove bisogna portare il lettore in un mondo altro, distante per mentalità e convenzioni sociali dalla realtà contemporanea. Memorie di Adriano, Io Claudio e Il nome della rosa sono i primi tre romanzi storici scritti in prima persona che mi vengono in mente. In tutti e tre i casi la scelta del narratore aiuta il lettore a entrare con naturalezza nella vicenda e si tratta di tre romanzi che invecchiano benissimo, come il buon vino sembrano anzi migliorare col tempo.

Ho notate anche che gli scrittori alle prime armi prediligono la narrazione in prima persona, ma i risultati non sono affatto garantiti. La scrittura in prima persona è più immediata per chi legge, non per chi scrive
Per chi scrive, lo dico per esperienza diretta, la gestione della prima persona nelle storie lunghe è un incubo.

Chi scrive, quando e perché?
Queste sono le prime domande che l'autore si deve rivolgere. Perché mai un personaggio dovrebbe scrivere una storia in prima persona? Qual è il suo scopo? Sicuramente ne avrà uno. Che sia il desiderio di mettere su carta eventi straordinari di cui è stato testimone o offrire una diversa versione di fatti già noti, lo scopo del narratore modificherà la narrazione.
Altro fattore importante è il quando il personaggio scrive. In quasi tutte le narrazioni in prima persona ci sono di fatto due narratori. Quello che scrive e ragiona sui fatti e il suo io più giovane che li vive momento per momento. L'alternanza di questi due "io" non è affatto di facile gestione e il giusto equilibrio tra retrospettiva e immediatezza determina spesso il fascino dell'opera.

Quanto chi scrive comprende degli eventi che racconta?
Eco, nelle Postille a Il nome della rosa dice che si è divertito a far raccontare la sua storia da Adso, che non ha una piena comprensione degli eventi (neanche in retrospettiva) e che questo ha rassicurato  quei lettori che durante la lettura non riuscivano a seguire tutto. Da un certo punto di vista ho trovato quella di Eco una scelta affascinante e difficilissima da gestire. 
Il finale de Le ultime gocce di vino è una stilettata al cuore perché il protagonista ha smosso mari e monti per mettere al sicuro Socrate ed è così fiero della ricostruita democrazia ateniese, che, il lettore lo sa, da lì a poco metterà Socrate a morte.
Questo gioco di consapevolezza è difficilissimo da gestire, ma è essenziale per la buona riuscita di una narrazione in prima persona.

E quello che il narratore non vede?
Questo, se non altro, è un problema che tutti gli scrittori si pongono, ma che nondimeno non è di facile soluzione.
Se scrivo in prima persona mi vincolo allo sguardo del protagonista, che non è ubiquo. Mi nego trame complesse, con complicati intrighi che si svolgono in contemporanea in più stati (alla Trono di Spade per intendersi). La narrazione in prima persona obbliga alla linearità. Funziona, appunto, in narrazioni storiche in cui si segue la vita di un personaggio o in gialli in cui seguiamo lo svolgersi lineare di un'indagine. Anche in questi casi, inevitabilmente, qualcosa accadrà lontano dagli occhi del narratore. E allora sono dolori. Gli espedienti sono vari, ma nessuno è perfetto. Lo spiegone funziona solo se ad agire fuori scena c'è Sherlock Holmes, uno che a fare gli spiegoni ci trova gusto. Si possono trovare lettere, pagine di diario, ma se la cosa non ha una gestione perfetta come ne La mano sinistra delle tenebre, in cui la relazione di uno dei personaggi si interseca al diario personale di un altro, risulta artificiosa. Oppure alcuni eventi rimangono non narrati. Ma bisogna essere bravi, bravissimi, a gestire i vuoti.

Ma il narratore può morire?
Altro problema solo in apparenza banale. L'io narrante può morire? Se muore, come può raccontare? Se sappiamo già che non muore, la cosa non toglie pathos alla narrazione?

Lo stile è quello del personaggio, non dell'autore 
O, almeno, è una mediazione plausibile. Quando scrivo in prima persona cambio il mio stile, facendo un lavoro di immedesimazione simile a quello degli attori, per "calarmi nel personaggio". Già questa è un'operazione di difficoltà enorme. Se trovare la giusta voce per una narrazione è difficile, trovare la giusta voce di un personaggio che non siamo noi, che magari ci è distante nello spazio, nel tempo e nei gusti personali è davvero un'impresa. Può essere divertentissimo, ma non sarà mai facile.

Decidendo di raccontare una storia lunga in prima persona, l'autore abdica, almeno in parte all'onnipotenza dello scrittore, andando a chiudersi in una serie di vincoli che bisogna saper gestire. Ci si mette, più che con altri generi di narrazione, completamente al servizio della storia e del personaggio, facendosi un poco da parte. Se il gioco funziona, il risultato sarà una narrazione di rara immediatezza, in grado di trasportare completamente il narratore nell'altrove che abbiamo creato per lui.

I tre romanzi in prima persona che più ho amato

Apri le pagine e sei là, sei un imperatore romano morente, intriso di cultura e malinconia. Per me questo libro è la prosa più elegante di sempre. Per tutti è di una potenza evocativa enorme. Il mio libro di storia romana dell'università perdeva un sacco di tempo a giustificarsi quando doveva dissentire con quanto esposto in Memorie di Adriano, come se all'autore dispiacesse constatare che le nuove ricerche storiche smentivano (in pochi punti) la fantasia di una narratrice dei primi anni '50. Potenza (anche) della prima persona.

Libro oggettivamente meno importante degli altri due, ma che ho davvero amato.
Le memorie di Merlino. Un Merlino sorprendentemente giovane, sballottato tra visioni che non comprende appieno, con fede cieca servizio di un Destino che non si palesa mai fino in fondo e che lo porta a compiere azioni di cui porterà per sempre il rimorso.
Un libro che ha plasmato fin nel profondo il mio immaginario, tanto che non sono riuscita a leggere con gusto null'altro che fosse ispirato alle leggende arturiane.

È il mio libro preferito di sempre. Potenza della prima persona. La relazione dell'inviato umano sul pianeta Gheten diventa il diario di un nobile del posto. Chi è l'alieno? Quale punto di vista è quello giusto?

Il romanzo che più gioca con la prima persona

Uno dei romanzi più strani e tecnicamente più estremi che io abbia mai letto. Ventitrè voci narranti che si alternano, segnalate solo da strani simboli. Pagine che scorrono al contrario. Neppure una parola per spiegare l'ambientazione o la situazione (che giustamente i personaggi già conoscono).
Un libro che funziona, nonostante tutto, anche se mi ha suscitato più ammirazione tecnica che amore. Da leggere comunque, per capire le vere potenzialità della narrazione in prima persona.

4 commenti:

  1. Mi han sempre detto che il vero salto di qualità è dalla prima alla terza persona, che uno scrittore istintivamente parte con la prima. Non so se sia vero, ma trovo che la terza sia più difficile. L'orda del vento? Buffo, ho amato il tanto simile nel titolo "l'ombra del vento" Un grande esempio dell'eterno dubbio su ciò che sa l'autore e ciò che sa il lettore è, secondo me, L'assassinio di Roger Ackroyd altrimenti tradotto col titolo di "dalle 9 alle 5" di Agatha Christie. Buona ripresa allora.

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    1. La prima persona sembra più immediata, per questo viene scelta d'istinto e, spesso, mal gestita. Nelle storie lunghe (nei racconti molto brevi in effetti facilita le cose) è davvero un incubo da gestire bene perché bisogna tenere presente tante piccole cose che fanno la differenza e limita molto la libertà dello scrittore.

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  2. Ciao Tenar,

    ricambio la visita. Davvero un ottimo post, complimenti. Personalmente in scrittura non sono un grande fan della prima persona, proprio perché - come dicevi - a lungo andare impone dei limiti strutturali e organizzativi che la terza invece aggira. Certo, la prima quando è gestita bene per il lettore è mozzafiato. Mi viene in mente un altro celebre e recente esempio per la letteratura fantastico/distopica: "The Hunger Games", che in più è al presente e non al passato; una vera fucilata.
    L'orda del vento mi manca, anche quello va subito in reading list :)
    Ciao!

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  3. È un gran piacere averti qui, Andrea!
    La prima persona è un continuo vincolo, come scrittrice mi sento presa al laccio. Per le storie lunghe mi limito a usarla per gli apocrifi sherlockiani perché è d'obbligo ed è un incubo (anche perché Holmes continua a scappare fuori scena). Però se funziona è davvero un colpo preciso al cuore, non a caso Memorie d'Adriano e La mano sinistra delle tenebre sono tra i miei libri preferiti di sempre.
    L'orda del vento è un virtuosismo tecnico come pochi ne ho visti. Funziona e alla fine torna tutto, ma non posso dire che mi abbia davvero emozionato.
    The Hunger Game invece ancora mi manca, ma di sicuro prima persona e presente hanno contribuito non poco al suo successo

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