Considerando che questo blog si chiama "Inchiostro, fusa e draghi" questo post è il racconto di sconfitta, di una dura presa di coscienza e alla fine di un nuovo cammino.
Sono una lettrice onnivora, ma il fantasy, per me, ha sempre avuto un posto speciale. Da bambina ho navigato tra le isole di Hearthsea e ho percorso avanti e indietro il Verdecammino. Più tardi ho appreso che luce e ombra non hanno confini così netti, specie guardando la penombra di Darkover, percorrendo i confini di Westeros o ascoltando i resoconti dai Sei Ducati. Per questo, quando ho iniziato a scrivere, ho pensato che avrei scritto fantasy. Grandi romanzi fantasy.
E ci ho provato, tre volte.
Col primo era chiaro anche a me stessa che non facevo sul serio. Non aveva un titolo, aveva una trama sfilacciata come poche, ma aveva delle idee. Il che, come punto di partenza, non è male.
Il secondo Il drago nel medaglione era una bella storia per ragazzi. L'avessi scritta, che so, negli anni '50, non sarebbe stata neanche male. Mi sono divertita a idearla e aveva un paio di idee, ma nulla che le permettesse di farsi notare tra mille altre.
È stata la terza storia a spezzarmi il cuore. Perché in Lord Corvo c'erano i migliori personaggi che mi fossero capitati per le mani.
Quello che mi attirava davvero, nello scrivere fantasy era proprio la possibilità di mettere in scena personaggi con contraddizioni potenti, quasi shakespeariani. Poter far esplodere i conflitti al massimo della potenza. In un fantasy un odio può letteralmente scatenare una guerra. La posta in gioco è sempre massima e questo vuol dire poter portare i personaggi davvero al limite, dove danno il meglio. Il nucleo di personaggi che stava al centro della storia era fantastico e più lo osservavo e più ne trovavo altri meravigliosi ai lati. La storia, tuttavia, non funzionava.
E alla fine, dopo la seconda riscrittura, prima di iniziare la terza, ho capito che non era solo la trama il problema, il problema era il fantasy, intorno a cui mancavano tre elementi di base:
- La capacità di tenere desto il senso del meraviglioso.
Non c'era nulla di innovativo nella mia ambientazione. Nulla in grado di far rimanere il lettore senza fiato o di fargli percepire lungo la schiena il brivido dell'ignoto. Se non riuscivo a creare qualcosa di straordinario ai miei occhi, come potevo sperare di poterlo fare per lo spettatore?
- Un sistema innovativo di magia
Come funziona la magia? Perché alcune persone riescono a fare degli incantesimi o comunque a produrre degli effetti magici e altre no? Questa è una delle domande principali per uno scrittore di fantasy. E, anche qui, le mie risposte non erano soddisfacenti. Mentre nuovi autori, come Sanderson, intessevano storie con sistemi di magia coerenti e assolutamente inediti, io di fatto scopiazzavo opere altrui.
- Un sentire "cosmologico"
Io volevo scrivere una bella storia. Una bella storia su persone interessanti, che magari cercano di migliorare il fazzoletto di mondo che è dato loro da vivere. Ma il fantasy è sempre stato anche "un discorso sui massimi sistemi". Non è necessario che sia la lotta tra Bene e Male, ma credo che la maggior parte dei buoni fantasy abbiano comunque la vocazione a indagare sulle costanti dell'uomo. Quasi tutti i buoni fantasy che ho letto ruotano intorno a temi universali. La morte come una parte dell'equilibrio per la saga di Herthsea, il desiderio di potere per Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, il senso della religione per la trilogia dei Mistborn.
La mia, alla fine, era e rimaneva una storia privata, che interessava forse un regno, magari mezzo continente, non il destino di interi mondi.
Stabilita questa mancanza di base, e risalita dalla depressione del "quindi le mie storie non vedranno mai la luce", ho cercato di capire l'origine di questi problemi. Il che è stato piuttosto sorprendente.
Alla fine sono arrivata alla conclusione che mi mancavano questi elementi perché di loro non mi era mai importato molto. Fin dall'inizio a me erano piaciuti i personaggi. E che sarebbero continuati a piacermi anche senza la magia e il meraviglioso. Se loro avevano davvero qualcosa da dire, forse potevano continuare a dirmelo, in un altro contesto.
Ho dovuto rassegnarmi al fatto che non sarei mai diventata una grande scrittrice fantasy, perché mi manca qualcosa, forse la forza immaginifica per creare un mondo nuovo.
Sono un demiurgo imperfetto.
Forse, posso trovare la magia che già c'è in questo mondo e raccontare quella.
Ho iniziato un lavoro di "spoliazione" per capire cosa esattamente mi importasse delle storie e dei personaggi e preparare i nuclei narrativi così individuati a una sorta di trasloco.
La cosa curiosa è, per citare il film preferito del Nik che "si può fare". Sia io che padre Marco siamo consapevoli che una volta lui abitava in un altro mondo e uccideva draghi, del resto "i draghi hanno solo cambiato aspetto, se adesso non sputano fuoco e non hanno artigli e scaglie non vuol dire che non esistano".
Scrivo ancora racconti fantasy. A volte, nella piccola dimensione del racconto, quel senso di meraviglioso un poco emerge. A volte semplicemente me ne frego e torno nel mio mondo imperfetto, per guardare più da vicino questo o quel personaggio.
E forse, in fondo in fondo, sogno ancora di poter scrivere, un giorno, un grande romanzo fantasy.
Sono i personaggi che ti nascono dentro a dirti cosa devi scrivere e con quale ambientazione, vero Tenar? Non un'idea preconcetta...Continua a scrivere e a sorprenderci! Un abbraccio!
RispondiEliminaA dire il vero, quello che provo a fare è farli vivere anche al di fuori dall'ambientazione per cui sono nati. Se sono davvero dei personaggi immortali devono farcela, no?
EliminaUn abbraccio anche a te!
considerando quanta gente scrive e basta, in Italia, questa tua autocoscienza, o sei vuoi riflessione consapevole, è davvero apprezzabile. ti distingue.
RispondiEliminainoltre mi verrebbe da obiettare: ma perchè, una buona storia non può reggersi solo su dei buoni personaggi? ok, magari non avrà la potenza e la profondità del Signore degli Anelli, ma può cmq dire qualcosa di bello e interessante.
non sto dicendo che uno possa per questo copiare senza problemi (le tue autocritiche "suonano", insomma, anche se non ho letto nulla), sto dicendo che alle volte dipende da dove si piazza la telecamera. tempo fa ho rivisto un piccolo film inglese. non molto originale. si chiama OGGI E' GIA' DOMANI. una storia ambientata oggi, per certi aspetti banale. però la telecamera è addosso ai personaggi, e loro sono Dustin Hoffmann ed Emma Thompson. e la piccola storia, di due piccole persone, con i loro piccoli problemi, prende... e parla. almeno, a me (e insomma, il film è arrivato in italia, quindi non a così poche persone).
vedi tu se questo pensiero scritto di getto può esserti utile. non che tu non possa scrivere (e bene) comunque. ^___^
alberto panicucci
Ti ringrazio, Alberto.
EliminaComunque questo non è un post scritto sulla depressione del momento, ma è la risposta a una ciclica domanda "se scrivi gialli, perché parli di draghi?".
Probabilmente perché si tratta sempre di stanare il mostro, ecco. E forse anche perché un grande romanzo fantasy non mi riesce. Di certo non perché ritengo il fantasy un genere minore o da relegare ai soli ragazzini.
E poi anche grazie a RiLL cerco di tenere desto il mio senso del meraviglioso, almeno con un paio di racconti l'anno.
e un giallo fantasy? ^___^
Eliminacol drago e con l'investigatore ^___^
alberto
Ho fatto esperimenti, ovviamente. Se vuoi te li giro. Il primo effetto collaterale è un numero spropositato di battute.
EliminaCiao Tenar.
RispondiEliminaCome sai non amo molto il fantasy ma ho apprezzato la tua presa di coscienza anche se credo che tu sia stata troppo dura nel giudizio.
E' vero che bisogna puntare a colpire, a stupire. Ma è altresì vero che magari si possono creare personaggi davvero profondi ed interessanti (torbidi, complessi, contraddittori) in un mondo già tracciato. Magari basta essere originali in un solo elemento dei tanti, no?
Moz-
Infatti è proprio questo il succo del discorso. Ho trasportato quello che mi piaceva nel nostro mondo, perché non sono capace di essere abbastanza originale su tutti i fronti!
EliminaEcco, sapete una cosa buffa? Proprio mentre scrivevo questo post un racconto di quelli scritti in appendice a Lord Corvo, spedito un sacco di tempo fa, mi è stato chiesto per la pubblicazione. E forse, per tutta una serie di motivi contorti (in primis il fatto che mi ero dimenticata di averlo spedito) dovrò pure dire di no...
RispondiEliminaTenar, io penso che ci sia sempre e comunque uno scollamento tra le nostre aspettative e quello che scriviamo, e che non possiamo mai essere completamente obiettivi su noi stessi. La delusione rispetto a quello che si vorrebbe scrivere e invece si scrive c'è sempre, poco ma sicuro. Penso anche che il nostro giudizio sia sempre in qualche modo alterato o in senso negativo, con giudizi troppo severi su quello che si scrive, o all'eterno positivo (come lo scrittore-pavone di cui ho parlato in un mio post) nel senso che non si vede l'evidenza. Non ho ancora letto nulla di tuo, a parte il bellissimo racconto "La donna col liuto", ma non mi sembri certo appartenere alla seconda categoria!
RispondiEliminaMi piace molto questa tua analisi, anche perché io stessa sono (almeno per ora) una scrittrice fantasy mancata. Il che non vuol dire che ciò che scrivi adesso sia un ripiego; anzi, hai individuato ciò che ti interessa davvero. Però, anche se non ho mai letto niente di tuo, ho l'impressione che la tua valutazione sia anche troppo severa. Non hanno successo solo i fantasy con tutte le carateristiche che citi, o di fantastico in giro ce ne sarebbe ben poco. Essere completi e originali è un giusto obiettivo, ma spesso la mancata pubblicazione dipende dalle mode e dai meccanismi di mercato - un fatto che secondo me nel caso del fantastico è molto marcato. Il fantasy di Earthsea e del Verdecammino non sono di moda... per ora. In futuro, chissà. Io nel frattempo mi permetto di parlare di realtà con un tocco di fantastico dentro, perché il nudo reale-toccato-con-mano mi sembra più povero della realtà vera.
RispondiEliminaLa tua autoanalisi è lodevole.
RispondiEliminaNon mi dilungherò, ma con sincerità penso proprio che prima o poi proverai a tornare a fare il gioco del demiurgo, a inventare paesaggi, miti, magie, guerre, personaggi, perché certe abitudini sono come una droga e non credo sia possibile uscirne del tutto. Viste le basi, i dubbi, gli interrogtivi... potrai solo che scrivere un buon romanzo.
Carissime Cristina, Grazia e Giordana, vi ringrazio davvero per quanto avete scritto. Non credo che il mio (temporaneo?) abbandono del romanzo fantasy (non di altri generi) sia dovuto a eccessivo pessimismo o sfiducia nel mercato. Diciamo che "qualsiasi cosa che val la pena di essere fatta val la pena di essere fatta bene". Quindi quando ho capito che non riuscivo a dare il massimo ai miei personaggi e alle mie storie con il fantasy ho cercato di cambiare strada. Amo troppo il genere per regalargli una storia mediocre e al momento quello che, secondo me è "fantasy allo stato dell'arte" è lontano dalle mie possibili. Ci sono altri generi che amo tanto quanto e all'interno credo di poter scrivere storie che non hanno nulla da invidiare a nessuna. Ecco. Possiamo chiamarlo un problema di perfezionismo, forse.
RispondiEliminaNon so perché abbia scritto questo post adesso, in realtà la decisione è stata presa circa 4 anni fa e credo che da allora le mie storie siano migliorate, comprese quelle fantasy, sia pure relegate ai racconti.
Credo che non si possa andare avanti in nessuna strada, senza rendersi conto dei propri limiti, voi non trovate?
@ Grazia: i draghi sono ovunque, sempre!
Infatti non mi sembrava lo sfogo di una scrittrice delusa. Sei fortunata ad avere altri generi che ti appassionano quanto il fantastico. Per scrivere qualcosa di valido bisogna essere molto, molto convinti di ciò che si fa.
RispondiEliminaMia cara collega, mi unisco al coro: la tua auto analisi così tagliente e selettiva ti fa solo onore in un mondo dove tutti coloro che sanno usare una decente grammatica pensano di essere degli scrittori.
RispondiEliminaNon so cosa crei un'opera; ogni tanto mi sveglio con delel buone battute, con un personaggio corposo e piacevole, con l'immagine di una bella vallata o di una stanza precisamente arredata, ma da lì a dire che potrei scrivere qualcosa.....
Il fantasy è un genere che ingloba, ingoia, non può che piacerti follemente o non interessarti minimamente ed è ovvio che un appassionato del genere voglia creare qualcosa di completo, emozionante e vivo, ma credoanche che, proprio per questo, noi lettori del genere dovremmo avere un paio di marce in più per dar vita a qualcosa che ci convinca.
Anche la lunghezza del romanzo non è di aiuto, almeno per me, Il racconto non permette facilmente di immergere il lettor ein un mondo tanto complesso, il romanzo è una prova di forza fra scittore e "mondo altro" degna del miglior cavaliere.
Non mollare mia cara Tenar, i personaggi ti staranno accanto, non lasciare che il tarlo della perfezione ti blocchi ogni volta, lascia che anche un mondo imperfetto abbia vita attraverso la pagina, D'altrinde, se Dio avesse aspettato la perfezione per creare un mondo....povero uomo!
Neppure io so davvero cosa crei un'opera. Però una volta da uno sceneggiatore ho avuto una risposta che in parte mi ha convinto: l'ossessione. Se ne sei ossessionato la scrivi. Forse io non sono abbastanza ossessionata dalla teoria della magia e dalla creazione del mondo per scrivere un buon romanzo fantasy. Di certo lo sono abbastanza da personaggi e intrecci per provare a scrivere un buon romanzo.
EliminaPS: lungi da me volerti contagiare con l'ossessione (che non è una gran bella cosa), ma al di là di tutto, prova a scrivere, che è divertentissimo!
Io non ho mai pensato di scrivere fantasy, forse perché è un genere che non mi affascina nemmeno come lettrice/spettatrice. Ho uno stile di scrittura molto secco, immediato, che si nutre di ciò che vedo e respiro ogni giorno. Però penso che ad un autore fantasy serva una qualità indispensabile se non vuole far sentire il lettore alienato: laddove i meccanismi di identificazione non si possono basare sul tipo di realtà rappresentata, occorre trasferirli interamente sul piano emotivo ed emozionale, con personaggi che possono anche essere mostri a tre teste, ma ridono piangono ed amano come gli esseri umani normali. Nei romanzi realistici l’identificazione si può spalmare su più ambiti e, a mio avviso, può essere più semplice :)
RispondiEliminaNon so se sia più semplice. In generale penso che in letteratura non ci sia un "più semplice", quanto un più o meno vicino alla sensibilità individuale.
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