mercoledì 22 febbraio 2017

Le difficoltà nello scrivere racconti – Scrittevolezze

Con il primo fiore del nuovo anno, fotografato andando a passeggio con la pupattola, torno a parlare di scrittura.

Torna ciclica la domanda se sia più facile scrivere racconti o romanzi. Se ne è parlato di recente anche da Helgado, qui.

Io non lo so se sia più facile o più difficile scrivere racconti o romanzi. Al contrario del sentire comune io ho più difficoltà a pubblicare romanzi. Ho pubblicato 2 romanzi, invece di racconti ne ho pubblicati, vediamo... 5 sherlockiani, 2 su Giallo Mondadori, 4 sulle antologia della serie Delitti di Lago, 10 nell'antologia La Spada, il Cuore e lo Zaffiro, 1 su Kultural, più quelli preparati per la radio, per un sito con cui collaboravo, per un'associazione di cui facevo parte. Insomma ho decisamente più esperienza di racconti editi che di romanzi (gli inediti contano fino a un certo punto, non avendo avuto riscontri esterni, mi piace pensare di avere dei capolavori nel cassetto, ma ho il sospetto che sia più sogno che realtà).
Quali sono le difficoltà specifiche che riscontro nelle scrivere racconti?

Avere ben chiari i propri obiettivi narrativi
In un racconto non ci può entrare tutto. Un romanzo può essere un calderone di tematiche. Nei due romanzi che ho pubblicato ho messo dentro più cose di quante avessi previsto. E va bene. Il romanzo è il regno del molteplice.
Un racconto non può esserlo, rischia di essere inconcludente. Non posso permettere che in un racconto un personaggio secondario acquisisca troppo peso, in un romanzo sarebbe magari una ricchezza, in un racconto lo farebbe deragliare.
Quindi bisogna avere le idee chiare su cosa si voglia raccontare. Quale sia il cuore emotivo del nostro narrare.
Non solo chiederci chi sia il protagonista, ma perché proprio lui. Non solo che cosa dobbiamo far succedere, ma perché vogliamo che quei fatti accadano. Qual è il nostro intento? Come deve uscirne il lettore?
Sto finendo di sistemare un racconto per un concorso. Forse non è il racconto giusto per quel concorso (chi mai può dirlo), ma credo sia uno dei miei migliori racconti. Alla fine il lettore deve avere le lacrime agli occhi e ragionare sul proprio concetto di eroismo. Non so se è quello che accadrà al lettore, ma è quello che voglio che accada. Il sentimento dominante è la malinconia. Il protagonista (e qui sta il difficile) non è chi compie l'azione, ma il morto su cui si indaga e riga dopo riga, nel ricostruire la sua storia, il lettore deve veder crescere la propria ammirazione per questo personaggio che pian piano si mangia il racconto e lascia i vivi in secondo piano.
Questi sono i miei obiettivi, che ci sia riuscita è un altro discorso, ma, secondo me, una delle cose più difficili e importanti dello scrivere un racconto è definirli prima.
La brevità obbliga alla chiarezza d'intenti.

Circoscrivere la trama e fare in modo che funzioni alla perfezione
Un romanzo può avere una lunghezza tendente a più infinito. Può arrivare alle migliaia di pagine o addirittura essere diviso in tomi da centinaia o da migliaia di pagine. Un autore può iniziare senza conoscere con precisione la mole finale della sua opera, sapere che, rispetto ai suoi standard, sarà "breve" o "lungo", ma senza quantificare meglio questo sentire.
Un racconto è per sua natura breve. Diciamo sotto le 100000/150000 battute (no, secondo me 100000 battute non sono un romanzo). Quindi bisogna decidere innanzi tutto cosa NON raccontare.
Ho pubblicato parecchi racconti ma ce ne sono infiniti altri che stanno nei miei cassetti, per i più vari motivi. Uno che non è rientrato nell'antologia doveva intitolarsi "tre cavalli sordi". Il titolo mi piaceva parecchio. La storia si svolgeva durante una gara equestre. La protagonista a un certo punto scopriva che uno dei concorrenti montava un cavallo sordo, addestrato in modo particolare e il rendersi conto che quello non era l'unico cavallo addestrato in quel modo le dava degli indizi per capire i legami tra i loro possessori. Il problema era che la storia era quella della protagonista, non quella dei cavalieri dei cavalli sordi né tanto meno dei cavalli. E non importava quanto bella fosse la storia dei cavalli, la vicenda doveva essere circoscritta. Doveva ambientarsi all'interno della gara, che era importante, perché parteciparvi era il sogno della protagonista da che era bambina. E solo uno dei cavalli sordi partecipava alla gara. Il secondo ci entrava di striscio. Il terzo e il suo cavaliere sono stati del tutto tagliati dalla versione definitiva. E il titolo è stato cambiato (infatti quello attuale fa schifo ed è uno die problemi del racconto). Il racconto nella mia testa è nato dalla storia dei cavalli, ma nel momento in cui ho deciso che la protagonista sarebbe stata l'unica donna a partecipare alla gara ho capito anche di dover tagliare qualsiasi svolta narrativa che non la riguardasse direttamente.
In un romanzo si può trovare spazio per tutto e per tutti, in un racconto no.
D'altro canto la trama circoscritta di un racconto deve funzionare alla perfezione. Lo scricchiolio di trama che in un romanzo passa inosservato in un racconto si impone come un elefante rosa all'occhio del lettore.
Ho molto amato Venere Privata di Scerbanenco, ma in quel romanzo c'è una delle svolte di trama più deboli che io abbia mai visto in un giallo. Il protagonista trova una rubrica della morta. Lui non è un poliziotto, è un medico radiato dall'albo appena uscito di galera che si impiccia in fatti che non gli competono. È nel migliore dei casi un tipo ambiguo, almeno a primo impatto. Sceglie un numero a casa, quello di una donna. È la testimone chiave, ha letto gli articoli riguardanti il processo per cui il protagonista è stato incarcerato (che si è svolto anni prima), riconosce immediatamente il nome di lui, lo collega agli articoli e decide di fidarsi ciecamente. Il tutto nel giro di una telefonata.
Ma Scerbanenco sa scrivere, ha creato una certa atmosfera, strizza anche l'occhio al lettore chiedendogli perdono e poi lei, la ragazza, Livia, è un personaggio così bello che pur di averlo in scena accettiamo anche questo ingresso grossolano.
In un racconto questa cosa NON SI PUÒ FARE.
Anche se non è un giallo, un racconto deve scorrere liscio e perfetto. 
Se il lettore dubita della coerenza interna di un avvenimento esce immediatamente dal racconto a livello emotivo. Non c'è stato tempo per creare quel patto duraturo di sospensione dell'incredulità, l'autore non ha un credito di credibilità da spendere. Scerbanenco si permette uno scivolone dopo più di cento pagine. Ormai o abbiamo abbandonato il romanzo o ci siamo affezionati al protagonista e vogliamo sapere come andrà a finire la vicenda. Livia entra in scena male ma non abbandoniamo la lettura per quello, perché l'autore ha lavorato così bene prima che gli possiamo perdonare un errore. L'autore di un racconto non ha lavorato abbastanza per farsi perdonare quindi non può permettersi di sbagliare.

Scegliere che cosa approfondire e cosa lasciare sullo sfondo
Quanti personaggi possiamo approfondire in un romanzo? Tutti quelli che vogliamo.
Quanti in un racconto? Uno? Due? Pochissimi racconti scavano davvero la psicologia di più di tre personaggi.
Questo, attenzione, non rende scrivere racconti più facile, ma più difficile.
È più difficile preparare una piccola valigia per un lungo viaggio, piuttosto che una grande. 
Ache quando abbiamo definito i nostri obbiettivi e la trama del racconto dobbiamo ancora scegliere. Immaginate. Sapete dove volete andare in vacanza e cosa volete fare, ma potete portare sono due paia di scarpe. Se le sbagliate saranno dolori.
Tanti racconti amatoriali, secondo me, cercano di fare tutto, essere né più né meno che dei romanzi bonsai. Il rischio è che ci sia tutto, ma trattato con superficialità.
Per la mia esperienza, in un racconto riesco ad approfondire non più di due personaggi. Gli altri rimangono sullo sfondo. E una sola tematica. Non più di due ambientazioni, tre se una è solo accennata. 
Mi sembra sempre di dover cucinare per un ospite importante potendo contare solo tre ingredienti. Se li ho scelti bene e li so trattare, però, possono bastare.

Ma alla fine, difficile o no che sia, tutti possono scrivere racconti?
Certo, ma dipende come e con che velleità.
Il racconto è come i cento metri rispetto alla maratona. Non tutti possono correre una maratona. Bisogna controllare cuore e muscoli e anche mettere in conto il tempo per allenarsi. A nessuno che sia sano di mente verrebbe mai l'idea di improvvisare una maratona, alzarsi dal divano per la prima volta e correre tutto d'un fiato quarantadue e passa km.
Cento metri li possono fare tutti senza ammazzarsi e senza riportare gravi danni. Ma non tutti possono competere alle olimpiadi per i cento metri. Bolt non è meno campione perché non corre le maratone, anzi.
Tutti possono scrivere racconti, ma scrivere racconti davvero belli è difficile.
Scrivere racconti memorabili è difficilissimo.
Non so se sia più difficile che scrivere grandi romanzi, purtroppo non scrivo cose memorabili, ma so per certo che i racconti di Borges o di Carver o di Buzzati o della Munro una volta letti non te li dimentichi più. E no, non è facile scrivere racconti del genere, così come non è facile diventare dei bravi centometristi.
Anche se, ovviamente, se non si è mai corso, è più facile farlo per centro metri piuttosto che per quarantadue chilometri.

15 commenti:

  1. Sempre azzeccatissimo il paragone maratona/100 metri.
    Sandra

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  2. Io scrivevo racconti anni fa e, dopo cinque anni di silenzio, sono ripartita direttamente con il romanzo.
    Di recente ho deciso di partecipare a un concorso, ma non ci sono riuscita perché ho calcolato male i tempi.
    Il pezzo è iniziato, è carino, e vorrei proporlo in futuro. Tuttavia, riconosco che ha proprio uno dei limiti da te descritti: non ha un protagonista ma una trama corale. Di conseguenza, i personaggi risultano poco approfonditi. Ho in mente una nuova versione, che dovrebbe arginare questo problema. Staremo a vedere. :-)

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  3. In effetti il confronto non è facile vs difficile, ma difficile in un verso vs difficile in un altro verso. Il che non è molto consolante :)

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  4. Niente è facile. :)
    Grazie per i consigli. :)

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  5. Anch'io sono un appassionato di racconti. Le "Novelle per un anno" di Pirandello per me sono uno dei capolavori più sottovalutati della letteratura italiana.
    Inoltre talvolta nei racconti lo scrittore noto tenta strade nuove, quasi sfide personali, sapendo che il suo editore e il grande pubblico aspettano solo il romanzo.
    Per fare un esempio: ho letto per caso una raccolta di racconti di Neera. Sono storie in netto contrasto con il canovaccio ricorrente del dramma femminile tipico dei suoi romanzi, che oggi appaiono datati nello stile. Questi racconti invece sono (almeno alcuni) giocosi, particolari, dei gioiellini da gustare.

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    1. Il racconto permette di sperimentare e innovare rispetto al proprio stile. A me piacciono proprio per questo.

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  6. Se parliamo di opere memorabili è un conto, se parliamo soltanto di difficoltà tecnica, allora è ovviamente più difficile scrivere un romanzo che un racconto.

    Riguardo ai racconti che non puoi dimenticare, è soggettivo.
    Ho letto "Finzioni" di Borges e non ho capito nulla, a me sono sembrate storie campate in aria senza capo né coda e con quell'autore ho chiuso.
    Di Buzzati ho letto "Il segreto del Bosco Vecchio", ma non ne ricordo assolutamente nulla.
    I racconti su Holmes di Doyle li ricordo, invece. Come ricordo quelli di Poe e di Lovecraft.

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    1. Se rimaniamo in ambito amatoriale hai ragione, ma se passiamo a un livello più professionale ne dubito. È vero che un singolo racconto fortunato può uscire a chiunque, ma diventare un bravo e riconosciuto autore di racconti è difficile non solo per mere questioni di mercato. È difficile almeno quanto diventare un bravo e riconosciuto autore di romanzi.

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  7. Proprio azzeccato il tuo paragone sportivo! Rende davvero l'idea. Poi campioni dei 100 metri ce ne sono pochi, mentre l'attenzione verso i maratoneti c'è anche quando il corridore non arriva prima.

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    1. Arrivare in fondo a una maratona, come a un romanzo è già di per se un'impresa e una sfida con se stessi, cosa che non va assolutamente svalutata. Se parliamo di campioni/grandi scrittori, però la prospettiva, ovviamente, cambia.

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  8. Pensavo mi venisse più facile scrivere romanzi, qualche tempo fa, perché avevo un margine più ampio entro cui muovermi e potevo scrivere scrivere scrivere soffermandomi su questo o quel particolare. Poi sono venuti i tempi di magra e per venirne fuori mi sono buttata sui racconti. Mi sono stati utili per sciogliere i muscoli un po' intorpiditi, ma il richiamo della scrittura lunga è tornata a farsi forte e adesso ci sto riprovando, senza badare a eventuali obiettivi. Ho solo recuperato il gusto di scrivere romanzi

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    1. Come nello sport, alla fine è anche questione di gusto e attitudine. E divertirsi è fondamentale.

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