Eccolo, finalmente, il fantasy italiano che aspettavo di leggere da decenni.
Intendiamoci, negli anni ho letto delle belle cose scritte da italiani anche in ambito fantastico. Aislinn e Tarenzi hanno sdoganato un urban fantasy italiano e maturo, che leggo con piacere. Io, però, ho sempre preferito un fantasy in grado di portarmi totalmente in un mondo altro, senza relazioni immediate col presente. Per quanto mi piacciano i treni che partono dai binari 9 e 3/4 o l'idea che girando per Milano ci possa imbattere in dei o angeli caduti, il mio animo sogna da sempre territori in cui la natura la faccia ancora da padrona e il meraviglioso o il tenebroso abitino il cuore oscuro delle foreste millenarie. Bonus aggiuntivo è, per me, quando questo mondo altro prenda spunto da leggende o tradizioni esistenti, giochi con queste tradizioni e il loro contesto storico. Tra i libri che hanno segnato la mia adolescenza ci sono, ad esempio, due rivisitazioni, molto diverse tra loro, ma ugualmente affascinanti, dei miti arturiani, La grotta di cristallo di M. Stewart e Le nebbia di Avalon di M. Zimmer Bradley.
Possibile, mi chiedevo, che nessuno o quasi in Italia facesse un'operazione simile, attingere al nostro ricco patrimonio di leggende per intessere una storia sospesa tra passato mitico e totale fantasia e che questa fosse oscura e adulta come molte delle nostre leggende sono. Perché, oltre tutto, una cosa che detesto è il ridurre il fantastico a mera favola per bambini, frullando una mitologia che spesso e volentieri gronda sangue per adattarla al palato di quelli che vengono considerati i fruitori naturali di fantastico
Andra Atzori fa esattamente quello che ho sempre sognato un autore italiano facesse, dimostrando che la Sardegna è la nostra Terra di Mezzo. Del resto, ho pensato prendendo in mano questo romanzo, da tempo già sappiamo che la Sardegna è la nostra terra di frontiera, perfetta per reinventare il western. Perché quindi non il fantasy?
Si parte da un evento che quasi solo noi archeologi ricordiamo. L'Egitto, sotto i regni di Ramesse II, Mermptah e soprattutto Ramesse III, sconfisse (secondo gli egizi) o più probabilmente evitò con un po' di fortuna l'invasione da parte dei misteriosi Popoli del Mare. Le cronache egizie riportano i nomi di tali popolazioni, tra cui gli Shardana, che si presume fossero i sardi. Cosa accadde poi a questa armata di invasione, che gli archeologi mette in relazione con una serie di migrazioni e guerre e segnarono la fine di molte grandi civiltà dell'età del bronzo, non è dato sapere.
Atzori riempie il vuoto. All'alba dell'attacco decisivo all'Egitto un oscuro presagio richiama in Sardegna il capo della flotta, Karnak. Qui finisce la storia e inizia la fantasia.
Il lettore scopre così che i nuraghi, o almeno alcuni di essi, sono dei sigilli posti su una frattura del mondo che da verso il "regno dell'Oltre" da cui demoni/giganti fuoriescono e solo un pastore folle, condizionato da un rito crudele ma indispensabile può renderli inoffensivi. Uno dei sigilli, però, è crollato, il pastore si è perduto e gli Incubi dell'Oltre stanno falcidiando i villaggi. La grandezza dei Shardan è finita, ma Karnak e i suoi compagni forse possono ritrovare il pastore e sigillare nuovamente la frattura.
Inizia quindi una cerca in una Sardegna oscura, segnata da una ritualità crudele, ma che ben si adatta alle logiche brutali della tarda età del bronzo.
Un mondo, quello tratteggiato da Atzori, che mi ha profondamente affascinato. Difficile, del resto, non subire il fascino del Meredeùle, il pastore folle che percorre la Via seguito dal suo gregge di Incubi.
Se ho un rammarico è che un tale mondo venga utilizzato per una vicenda che si dipana troppo veloce per permettere un pieno approfondimento dei personaggi coinvolti, tanto che i compagni di Karnak, con l'eccezione della sacerdotessa Saurra, rimangono solo abbozzati. C'è anche da dire che alle mie antenne di paletnologa è stato subito chiaro quale fosse l'unico modo per chiudere il sigillo, togliendomi un po' di sorpresa (ma non di impatto emotivo), ma questo non è un difetto.
Essendo io, appunto, una paletnologa, sia pure in disarmo, un discorso a parte merita l'ambientazione, così insolita. Sul suo blog, presentando il romanzo, l'autore mette le mani avanti dicendo di aver voluto scrivere un romanzo fantastico e non una storia "archeologicamente corretta". Ebbene, partendo dall'assunto che si tratta di fantasy che affonda nella storia e non un romanzo storico, l'archeologa, qui, ha ben pochi appunti da fare, giusto due quisquiglie. Avrei evitato il termine "fenicio", prematuro nel XIII sec a.C. e mi ha lasciato un po' perplessa la scelta di mettere in bocca i protagonisti un sardo riconoscibile, davvero troppo moderno alle mie orecchie. L'autore però ben giustifica la sua scelta nella nota finale, dopo tutto è bene sottolineare che ci sono fior fior di romanzi con pretesa di storicità, con ambientazioni molto più facili e ben documentate che mi hanno fatto rizzare assai di più i capelli.
Da leggere, quindi, e da sbattere in faccia a chi dice che l'Italia non ha una tradizione fantastica.
Anche se non è il mio genere (o forse non so che lo sia, ho adorato Le nebbie di Avalon che citi!) trovo molto affascinante quanto racconti, quindi credo davvero che Andrea abbia la classica marcia in più. Bravo. Sandra
RispondiEliminaAttenta, se hai adorato Le nebbie di Avalon hai già un piede nel fantasy!
EliminaNon so perché ma della saga della Bradley ho preferito Le querce di Albion. Idea e ambientazione mi parevano assai originali. Belli comunque anche nebbie e signora di Avalon, seguiti ideali della vicenda.
EliminaResta il fatto che li ho letti tutti che ero appena adolescente, subito dopo al Giglio Nero che ho adorato e letto svariate volte ma non so se mi piacerebbe altrettanto riletto oggi
Anche per me è stata una lettura adolescenziale. L'anno scorso mi sono ricapitati in mano i miei libri preferiti della saga di Darkover (L'erede di Hastur e L'esilio di Sharra) e mi ha fatto una strana impressione rileggerli. Tutti i personaggi erano immaturi e, appunto, adolescenziali e mi è sembrato ovvio perché allora mi fossi riconosciuta tanto. Mi sono resa conto anche che il mio ragazzo di allora era fatto e finito uno dei personalli (Lew Alton) di fatto un piagnone che causa un sacco di sventure a se stesso e a chi gli sta attorno, ma all'epoca lo avevo trovato terribilmente affascinante.
EliminaVoglio leggerlo!!!
RispondiEliminaNominando Tarenzi mi hai fatto ricordare la scorsa estate passata a esplorare urban fantasy italiano. Partita da Michele Mari (Verderame uno dei più bei libri italiani che io abbia letto, quasi a pari merito con quello dei pesci che parlano e Roderick Duddle... Insomma lo stimo, un genio) e approdata a Tarenzi passando per Francesco Dimitri che in realtà ho amato più di Tarenzi con Pan e soprattutto, per motivi nemmeno a me del tutto chiari, con L'eta' Sottile.
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Elimina..quello dei pesci si chiama La Stiva e l'Abisso, ed è un geniale delirio. Ancora oggi chiamiamo a casa "menziare" Il parlare non a ragion veduta, come Menzio, lo smargiasso presente nel libro 😆
EliminaLeggilo! Oltre tutto è breve e si finisce in un attimo.
EliminaSì, sull'urban fantasy l'Italia ha fatto delle belle cose. È che io il fantasy lo preferisco ancora in versione classica, con mondi altri. E finalmente sono stata accontentata!
Le nebbie di Avalon! Anche io ho amato quel romanzo. Ho sempre apprezzato il mix tra leggende e finzione narrativa.
RispondiEliminaComplimenti per il post, mi hai invogliato a leggere il libro. Il caso vuole che proprio di recente ho letto un articolo sugli Shardana e sui nuraghi...
Leggilo! Io non so simulare entusiasmo, questo romanzo mi è proprio piaciuto.
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