mercoledì 3 maggio 2017

Di chi è la storia che stiamo raccontando?

Ogni storia è la storia di qualcuno.
Sembra una cosa banale, ma non lo è. Nel mio romanzo preferito, La mano sinistra delle tenebre, viene ricordato che i fatti hanno una loro sensibilità, se l'evento rimane lo stesso, la sua natura cambia a seconda dell'occhio che lo guarda. L'autrice paragona i fatti alle perle, che riflettono la luce in modo diverso a seconda della persona che le indossa. Non so se sia vero per le perle ma sono abbastanza sicura che valga per gli eventi.
Spesso mi chiedo come sarebbe una storia vista da un'altro personaggio. Come sarebbe Madame Bovary dal punto di vista del signor Bovary? Credo che il pover'uomo avrebbe parecchio da dire. 
A volte basta un lampo, uno spunto di narrazione per farci capire che per un altro personaggio gli eventi di cui abbiamo letto avevano tutt'altro impatto. Alla fine della saga di Harry Potter per un istante intravediamo lo sguardo di Piton sulla vicenda e capiamo che per anni ha fatto di tutto per proteggere il figlio della donna che aveva amato, anche se questi era in tutto e per tutto uguale all'uomo che lei gli aveva preferito. 
Non so se capiti ad altri scribacchini, ma io mi chiedo spesso di chi sia la storia che sto immaginando, sopratutto per i racconti. Per un romanzo sono abbastanza consapevole che devo abitare una testa in cui posso stare discretamente bene. C'è un passo molto bello di Saramago in Storia dell'assedio di Lisbona sulla scelta del protagonista di un romanzo e dell'istintiva simpatia che un autore deve provare per lui. Anche se il protagonista è un cretino, non penso che un autore possa scrivere tutto un romanzo su di lui senza provare simpatia e un'istintivo senso di comunanza.
Con un racconto è diverso, in un racconto si può sopportare come protagonista anche qualcuno che non si sceglierebbe mai per lo stesso ruolo in un romanzo (ciao Holmes, sì, sto parlando di te).
Per i racconti, quindi, a me capita abbastanza spesso di avere ben chiari gli eventi che vi devono capitare, i personaggi coinvolti, ma non sapere di chi sia quella storia. Mi rendo conto che ho diverse storie possibili, anche molto diverse tra di loro e devo scegliere una soltanto.
Il racconto che vi ho proposto nelle scorse settimane, Treccia d'amore doveva intitolarsi tre cavalli sordi. Solo dopo ho capito che la storia era quella di Eris e che dei cavalli sordi lei ne avrebbe visti solo due e che dal suo punto di vista non era per nulla quello il nocciolo della vicenda.
Mi è capitato di nuovo, con esiti ancora più sorprendenti. Treccia d'amore fa parte di una saga più lunga di cui io finisco ciclicamente per scrivere altri tasselli. Gli eventi e i personaggi coinvolti li conosco da anni eppure non mi è sempre facile capire di chi sia quella data storia. Così per anni ho pensato che avrei scritto un altro racconto della saga usando un preciso punto di vista. Solo ieri mi sono resa conto davvero che non era il suo punto di vista quello più interessante. Il risultato? La storia di un innamoramento adolescenziale si è trasformata nella storia di un padre che rischia uccidere o essere ucciso da suo figlio. Ne sono rimasta piuttosto basita perché se gli eventi erano proprio quelli che conoscevo da anni, la storia che ora ho in mente è del tutto diversa. 
A qualcuno è mai successo qualcosa del genere?
O avete letto una storia che vi ha lasciato il dubbio che un altro dei personaggi coinvolti l'avrebbe vissuta in modo del tutto diverso?

14 commenti:

  1. Sono molto in sintonia con quello che scrivi. È luogo comune che una storia sia una sequenza di fatti. Invece no: una storia è una selezione di fatti. Potrà sembrare la stessa cosa, ma c'è un abisso di differenza.
    Il fatto è che una storia non si racconta tanto per fare, ma si racconta - si è sempre fatto, fin da quando gli uomini si trovavano attorno a quella novità che era un fuoco - per dire qualcosa. Detto molto male: per mostrare la famosa "morale della storia". Avviso ai naviganti: questo non ci autorizza a scrivere delle "scatarrate introspettive", come le definisce un conoscente dell'Anfuso. ;)
    Dunque con Holmes la morale sarà "la polizia vince perché è più intelligente" e i fatti mostrati andranno in questa direzione. Questo definisce protagonista, punto di vista e fatti narrati. Così, immagino, quando tra gli eventi che popolano le tue storie non ancora scritte tu riesci a trovare una morale, ecco che come conseguenza salta fuori il protagonista "vero" con il suo punto di vista. Sulle cose nuove che scrivo io tendo a fare l'opposto: cioè prendo una morale e ci cucio una storia. Sulle cose vecchie cui rimetto mano, invece, mi capita a volte di avere le tue stesse epifanie. In un caso, sfortunato?, di un romanzo, di essermi bloccato a metà riscrittura dopo aver scoperto con orrore che il protagonista non era "il protagonista". :)

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    1. Non credo che il problema sia "la morale", quanto il punto di vista più interessante per me in un dato momento, la tematica, se vogliamo. Nel caso di Holmes, in realtà le tematiche sono le più diverse e in generale preferisco il punto di vista di Watson, che sento più mio. Ne "il caso della morta scomparsa", però c'era un sottotesto importante che poteva uscire solo nel caso l'io narrante fosse stato Holmes. Stessa cosa qui. Suppongo che ora mi interessi di più indagare una genitorialità problematica che un amore adolescenziale. Il caso specifico, poi, è ancora più particolare perché ho un corpus di racconti su un canovaccio di eventi stabiliti da anni, quindi conosco perfettamente i fatti, ma, paradossalmente, non del tutto le storie che possono uscirne.

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  2. Molto interessante questo post. Sulla mia scrittura ho scelto di sperimentare punti di vista diversi nella stessa opera facendo parlare i diversi protagonisti separatamente. Francesca bla bla bla Stefano bla bla bla, operazione che sto ripetendo col romanzo in definizione. Sulle opere altrui davvero si spalancano mondi inesplorati. Sto leggendo LE RAGAZZE di EMMA CLINE non mi esalta la trama, orma lo finisco sta sera, ma ora che mi ci fai pensare tutti i punti di vista che mancano avrebbero offerto uno spaccato diverso e credo assai interessante sulla tragedia che si va raccontando. Forse più interessante di quello proposto facendo parlare la ragazzetta antipatica.
    Sandra

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    1. Il problema dei racconti è che bisogna lavorare in economia e più di un punto di vista risulta dispersivo, quindi bisogna scegliere bene l'occhio che guarda. Nel caso specifico poi si aprivano proprio scenari differenti a livello di eventi, poiché ognuno dei papabili protagonisti viveva esperienze diverse dagli altri, creando tre diverse possibili storie divergenti.
      In un romanzo che un giorno spero finirò sono arrivata a tre punti di vista, ma di più non ho mai osato.

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  3. Beh, penso che il punto di vista del maestro d'armi sia molto neglio!!!

    Ultimamente mi sono imbattuta in due romanzi che riscrivono un libro famoso partendo da un altro punto di vista. "Via col vento" riscritto dal PV di Rhett e "Orgoglio e pregiudizio" riscritto dal PV di Darcy. La tentazione di leggerli è forte, prima o poi lo farò; per quanto di certo non saranno capolavori, spero almeno in più che decorose fan fiction!!!

    Viola

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    1. Ecco, devo dire che queste operazioni di riscrittura un po' mi inquietano, anche se come autrice di apocrifi non dovrei giudicare...

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  4. Beh, l'esempio che poni nel post è perfetto. In effetti come lettori possiamo "amare" Emma Bovary, ma se fossimo il marito, come reagiremmo?
    In effetti mi piacciono quei romanzi in cui la stessa storia è raccontata dal punto di vista di più personaggi, aiuta davvero a capire meglio come lo stesso evento non possa avere un'interpretazione univoca.

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    1. Io, a dire il vero, preferisco un numero limitato di punti di vista, quella della proliferazione mi sembra un po' una moda. Però a volte mi chiedo cosa ne pensino davvero i comprimari.

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  5. Riflessione molto interessante. Il romanzo che è ormai diventato un mutuo è scritto in terza persona limitata. Più volte mi è capitato, specialmente in passato, di scrivere la stessa scena da due punti di vista diversi, mantenendo però invariati gli accadimenti e le battute di dialogo. è un esercizio che consiglierei a qualunque scrittore alle prime armi, per comprendere come cambia la situazione a seconda del personaggio che filtra la scena. Con il tempo, poi, e specialmente dopo aver trascorso tanto tempo nei panni degli stessi personaggi, la decisione diventa intuitiva. :-)

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    1. Per me più tempo passo con i personaggi e meno la decisione diventa intuitiva...

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  6. Sai che non mi sono mai soffermata su cosa potrebbero pensare altri personaggi rispetto a quello principale di cui si narra il punto di vista? Forse perché ho sempre pensato di intuirlo e forse una buona storia è quella che ti dà la possibilità di dare delle risposte anche su cose che il p.di v. non svela direttamente. Resto sempre un po' fredda quando le storie sono raccontate da più punti di vista, mi sembra di aprire sempre porte di stanze diverse.

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    1. Anche a me non piace l'eccessiva proliferazione dei punti di vista. Però in alcuni casi cambiando il punto di vista c'è proprio una storia differenze e, da autrice, non sempre capisco al primo colpo qual è la più interessante.

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  7. Molto interessante questo post. Proprio perché mi piacerebbe vedere il punto di vista dei personaggi che non sono il narrante, ho provato a scrivere qualcosa con pov differenti ma... non ci riesco. Ho tentato di entrare nella mente di un uomo e di raccontare le cose con i suoi occhi, ma per il momento è un limite che non riesco a superare. Non so come fare a stare dentro il ragionamento maschile. Non so capire la mente di un uomo. Umpf.

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    1. Io in generale mi trovo meglio con i personaggi maschili perché ho più controllo, so di non essere io...

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