Non ho mai avuto un calendario editoriale, al massimo una bozza in mente, ma anche quella in questi giorni è andata a ramengo, come si dice da noi, per una serie di eventi assulutamente non eclatanti, quali una riunione del gruppo di lettura saltata, il marito che è stato rapito dal lavoro, vecchie amiche da reincontrare dopo eoni.
Quindi inizio oggi un racconto a puntate che, poi, tornerà a farci compagnia il fine settimana.
Mi sono resa conto che sul blog di quella che è, comunque, prima di tutto una giallista, non è presente un racconto giallo lungo. Pongo rimedio ora, con un giallo anomalo. Quanto anomalo, sta a voi deciderlo, se vorrete accompagnarmi in una Parigi un po' folle da esplorare al fianco del mio improbabile detective, il prete insegnante padre Marco alla ricerca di un alunno scomparso...
IL BACIO DELLA VEDOVA – parte prima
Livio Massenzio era cresciuto sentendosi addosso una maledizione.
Il nome stesso lo era per quel suono possente da gladiatore istruito. Stava appiccicato in modo incongruo al suo corpo di diciassettenne tutto ossa, naso e brufoli. Gli sguardi delle ragazze scivolavano veloci via dal viso spigoloso, mentre quelli dei professori si soffermavano giusto il tempo di notificargli le insufficienze con un sarcasmo velenoso. Solo i suoi genitori sembravano pienamente consapevoli della sua esistenza e non perdevano occasione per renderla più sgradevole.
Per la prima volta, però, era lontano da loro. La prima gita di più giorni, a Parigi, dove tutto poteva succedere. Il vento della fortuna era girato quando era stata assegnata a lui e ai suoi quattro compagni una camera al piano terreno. Solo una finestra tra loro e il mondo.
Pioveva e il lampione gettava al marciapiede una luce asfittica. Ma cosa importa, quando si ha diciassette anni, si è liberi e a Parigi?
*
– Strane letture, per un prete.
Padre Marco alzò lo sguardo dal romanzo, contrariato.
La professoressa Anita Sacchi, però, con il suo tono dimesso, stava solo cercando di fare conversazione. Padre Marco si costrinse ad un sorriso.
La sua vita di parroco insegnante lo aveva abituato a vizi che faticava ad abbandonare, sia pure per i pochi giorni della gita. Colazioni silenziose dove il sapore del caffè si mescolava al gusto dell’inchiostro in un nero interludio di letteratura. Ma era stato scortese, ovviamente, a portarsi il libro anche al bar dell’albergo per cercare di dimenticare l’annacquato caffè d’oltralpe. Anita, la collega di francese, era stata l’organizzatrice della gita e non era un mistero per nessuno il fatto che avesse atteso con ansia quei giorni per poter tornare, sia pure solo per cinque giorni, a Parigi, magari accompagnata da un qualche collega che si accorgesse che era ancora una bella donna. Peccato che gli unici docenti disponibili si fossero rivelati il prete e il professor Raimondo Ferri, sessantacinquenne e sposatissimo. Si meritava almeno un po’ di gentilezza. Quanto al libro, poi, su quello Anita aveva ragione. Il romanzo di André Héléna non solo portava in copertina il disegno di una donna dalla generosa scollatura, ma come titolo faceva Il bacio della vedova.
– Non si parla di una donna – disse. - È un noir francese: la “vedova” è la ghigliottina.
– Ma quando è ambientato? – si sporse Ferri, liberando i baffi dagli ultimi residui di croissant.
– Fine anni ’40, credo – risponde il prete.
– E usavano ancora la ghigliottina? E poi diciamo che la Francia è il paese dei lumi…
– Ogni cosa ha i suoi lati oscuri – Anita si sentiva in dovere di difendere il paese di cui insegnava la lingua.
– Qual è il programma, oggi? – cambiò argomento padre Marco.
– Tour Eiffel al mattino e Louvre al pomeriggio. Facciamo prima una bella passeggiata, così entriamo quando c’è meno gente e possiamo girare meglio.
– Ma diluvia! Dobbiamo proprio farla la passeggiata?
Con i baffoni e il fisico imponente, Ferri aveva un’aria da tricheco pigro.
– Secondo Woody Allen, Parigi è bellissima sotto la pioggia – disse Marco.
– Ma io non sono Woody Allen e ho i reumatismi – sbuffò Ferri, alzandosi. – Vado a vedere se ci siamo tutti.
I cinquantasette ragazzi del quarto anno del liceo scientifico formavano una temibile e variopinta armata d’invasione, perfettamente in grado, se lasciata libera, di mettere a ferro e fuoco una città come Parigi. I tre accompagnatori, più che i generali dell’esercito, si sentivano come stanchi cani da pastore sempre intenti a mordere i calcagni del loro recalcitrante gregge per smuoverlo, indirizzarlo e limitare i danni. Prima di entrare nella sala che l’albergo aveva interamente riservato a loro, Ferri prese un bel respiro, come per una lunga apnea.
Ne riemerse circa un quarto d’ora dopo, lo sguardo vacuo e i baffoni incerti.
– Abbiamo un problema – disse, avvicinandosi ai colleghi.
Marco se l’era aspettato. Era già il terzo giorno di gita e tutto era stato, fino ad allora, perfetto. Neppure con dei seminaristi si poteva sperare in quattro giorni senza imprevisti. Con quel branco di ormoni di provincia allo sbaraglio sarebbe stato più di un miracolo.
– Cos’è successo?
– Massenzio è sparito.
Marco insegnava religione a diciotto classi e gli ci volle qualche secondo per visualizzare lo scomparso. Livio Massenzio, quarta C, naso imponente e storto, disinteressato a tutto, meno che al suo iphone e alle foto di ragazze nude che regolarmente vi venivano trovate. Genitori istruiti e rigidi che ad ogni colloquio venivano queruli a chiedere dove stessero sbagliando.
– Come sarebbe a dire “sparito”?
Evviva!!!Adoro padre Marco!!
RispondiEliminaMi piace, molto. Brava. Il sacerdote si rivela da subito un bel personaggio, sospetto che la professoressa ricoprirà un ruolo importante. Mah, vedremo.
RispondiEliminaInteressante, molto, aspetto il seguito.
RispondiEliminasinforosa