Era inevitabile che le mie scorribande nelle storie della storie dell'arte avessero uno sbocco narrativo. Con un certo imbarazzo per il divario tra realizzazione e soggetto, ecco cosa ne è uscito.
LA PARETE DI FRONTE
Firenze – 1503
Si erano incontrati quel giorno nella piazza.
Leonardo osservava il volo di un piccione, stentato all’apparenza, eppure efficace nel far giungere l’animale a un rimasuglio di cibo a terra. Intanto ascoltava a mezzo i discorsi degli amici. Si accorse all’ultimo dell’avvicinarsi dell’uomo sgraziato, dal naso storto e le sopracciglia cispose che era difficile immaginare come creatore di bellezza. L’inevitabile alterco fu breve, ma senza dubbio registrato dai fin troppo avidi cronachisti, sempre in cerca di particolari con cui arricchire le loro storie. Due accenni derisori al suo dipinto e poi l’altro si allontanò in fretta, lasciandosi dietro l’eco di un litigio in cui Leonardo si era trovato dentro quasi senza accorgersene. Il piccione ormai se ne era andato, portando altrove i suoi modi accattoni e le sue ali perfette e gli amici gli chiedevano conto di quanto accaduto. Quell’uomo, rozzo e muscolare come le proprie opere, spiegò Leonardo, era Michelangelo, l’artista che doveva affrescare la parete di fronte a quella che stava dipingendo lui.
Copia di Rubens della parte centrale della Battaglia di Anghiari di Leonardo Fonte: Wikipedia |
Nella notte, tuttavia, esiste un’ora in cui ciascuno è solo con se stesso. In quei pensieri, non del tutto disgiunti dai sogni, vi è una sincerità che il giorno ignora.
In sogno Leonardo cercava il volo che non aveva visto, il momento in cui il piccione si alzava da terra, proprio quando Michelangelo aveva fatto irruzione. Cercava di figurarselo, il movimento della zampa che si staccava in concomitanza con il dispiegarsi dell’ala, ma gli sfuggiva, così come scivolavano, inesorabili, i pigmenti del dipinto del palazzo, che non riusciva a fissare. Anche in quello stato di quasi sonno, una parte della sua mente riesaminava il problema. Far trattenere alla parete i colori col calore, nella stanza troppo grande, la pittura che scivolava, piangeva, come se il muro esprimesse un dolore fisico per quella battaglia che non voleva impressa. La sua mente inseguiva l’arte e la natura, ma il tutto gli sfuggiva, come i contorni di un paesaggio troppo lontano, sfumati nella nebbia. C’era sempre un non conosciuto, un particolare che restava in ombra o fuori fuoco, il levarsi del piccione, il segreto dell’encausto. E non si può volare senza sapere come staccarsi da terra.
Pensò a quell’uomo brutto, dalle vesti trasandate e lo sguardo acceso. Due sole cose conosceva, ma le conosceva intere, il corpo dell’uomo e il marmo. Pensò alla grande statua che stava rifinendo. Dal blocco che nessuno aveva voluto era sorto un’eroe antico, come se fosse sempre stato lì, nascosto appena dentro il marmo, in attesa. Pensò all’impalpabile panneggio, che non aveva visto, ma che riusciva a immaginare, della pietà di Roma, pietra fatta seta, della lucentezza delle perle. Pensò al cartone che andava producendo per il dipinto che sarebbe stato di fronte al suo. Solo uomini nudi nel furore della battaglia, corpi avvinghiati, privi di un retroterra mitico o esoterici segreti, solo una perfezione di muscoli, torsi e arti.
Non cercare di comprendere tutto il mondo, ma due cose soltanto. Non vedersi sfuggire la propria arte dalle mani, rigettata dal muro stesso su cui la si stava creando. Plasmare la materia senza incertezze e senza ripensamenti, con la sicurezza di fare ciò che si era nati per fare, covando persino l’illusione che ci fosse, da qualche parte, un Dio che proprio questo aveva predisposto.
Se nella notte qualcuno gli avesse chiesto quale altra vita avrebbe voluto vivere, Leonardo avrebbe risposto quella di Michelangelo.
Copia del cartone della Battaglia di Cascina di Michelangelo Fonte: Wikipedia |
Quello che proprio Michelangelo non riusciva a spiegarsi era come un uomo che aveva portato a termine poche opere e più che altro aveva lasciato abbozzi e aborti fosse già asceso all’olimpo dell’arte. Che si ammirassero quadri dipinti senza una goccia di sudore nel tempo in cui lui terminava in solitudine statue colossali. Che persino accorressero spettatori estasiati per un dipinto che non voleva fissarsi al muro, un monumento non all’arte, ma alla propria superbia e ai propri errori. Quei cavalli che appassivano prima ancora di essere terminati rischiavano di lasciare un ricordo perenne, regalando al proprio autore un’immortalità immeritata. Nel giudizio dello scultore c’era, in fondo, il rammarico per un talento sprecato da una mente ondivaga, che prendeva a noia i suoi stessi capolavori per lasciarsi estasiare, come quella di un bimbo, dal volo di un falcone o dallo scorrere delle acque.
Eppure i cavalli della battaglia di Anghiari facevano rimbombare con i loro zoccoli frementi i sogni di roccia di Michelangelo. Cavalli che percorrevano territori sconosciuti a chi non aveva dimestichezza se non con la polvere e il pigmento, talmente incerto del mondo da non avere amici sicuri che non fossero pietre o strumenti di metallo. Lo sguardo che l’artista più anziano gli aveva rivolto nella piazza aveva un sottofondo di tedio, ma era privo d’astio e di paura. Era il modo con cui Leonardo guardava il mondo, con la noia come unica nemica, senza il peso sulle spalle di uno sguardo giudicante, neppure quello di Dio. Aveva dei bambini l’innocenza malevola che non riconosce il bene dal male, né comprende il significato del proibito e trovava lo stesso piacere nel progettare un dipinto o una macchina da guerra. Michelangelo non riusciva a immaginare come fosse guardare il mondo comprendendo l’istinto del gatto in caccia, il volo dell’airone, l’andamento di una guerra o il sorriso malizioso di un fanciullo. Conosceva solo la roccia che non tradisce, lo strumento che la mano può controllare, i muscoli che aveva contato uno ad uno addosso ai morti. La ricerca del corpo perfetto era un’ossessione che non tollerava distrazioni, il marmo un amante che non perdonava tradimenti. C’erano sorrisi, nei dipinti di Leonardo, che le sue statue non avrebbero avuto mai. Mondi celati dietro ad occhi che guardavano paesaggi che alla sua mano non sarebbe stato concesso di riprodurre. Tutto nella pittura di Leonardo gli parlava di ciò che non conosceva, dei desideri che non osava formulare. Levarsi, anche solo col pensiero, concedendosi il piacere di un sogno sterile, sopra il marmo, la polvere e la fatica e immaginarsi volare con ali d’uccello. Chissà se da lassù avrebbe visto anche lui quei paesaggi sfumati, se persino i suoi dubbi, sul mondo e su Dio, si sarebbero ricoperti di nebbia, fino a fargli apparire in viso quello stesso sorriso accennato, di chi tutto comprende e nulla rivela?
Nella notte, i sogni di roccia di Michelangelo erano percorsi dagli scalpitanti zoccoli dei cavalli della battaglia di Anghiari, di cui non riusciva a catturare l’essenza.
Ma giorno riporta la luce e acuisce le ombre, rifluiscono i pensieri della notte col loro carico di dubbi e verità.
Uno tornava ai suoi cavalli che non volevano acquisire colore, l’altro ai suoi studi di battaglia primordiale, corpi nudi contro corpi nudi, ciascuno con parole di disprezzo per l’artista della parete di fronte.
Bellissimo!!!
RispondiEliminaSei sempre troppo buona
EliminaIn realtà ero solo di fretta, ho sintetizzato la mia impressione generale...!
EliminaNello specifico, mi piace riflettere sulle vite degli autori, spesso rivedo poi le opere sotto nuova luce. Nei miei disegni spesso traspongo particolari che amo della mia vita, cavalli, ragazze androgine, capelli lunghi e castani; forse lo fai anche tu, spesso i tuoi protagonisti hanno occhi simili ai tuoi, almeno così mi pare, e chissà che altre cose..! Mi chiedo quanto per Michelangelo contasse (e costasse) l'apparente perfezione fisica dei suoi personaggi. Comunque ottima trasposizione di un passato lontano, quasi come una traduzione delle quasi illeggibili cronache del Vasari..!
Le cronache del Vasari sono talmente illeggibili che per preparare il racconto sono andata a cercare la frase precisa che Michelangelo avrebbe detto a Leonardo e non ne ho capito il senso, tanto che ho dovuto ometterla...
EliminaPer il resto non saprei, in generale sono attratta da personaggi molto introversi che hanno difficoltà a esternare i propri sentimenti, mentre io sono tutto il contrario. E chi ha occhi verdi chiaro come i miei di solito muore male. Però certo non scriverei mai di una donna sottomessa e felice di essere tale e credo anche che avrei problemi con gli uomini che non rispettano le donne. Michelangelo credo avesse un carattere terribile con tratti al limite della psicopatologia, ma fino a che è un racconto di queste dimensioni si può giocare più o meno con chiunque.
"Quelli con occhi verdi muoiono male" 😂😂😂
EliminaAspetto una brutta fine per Kalay, Amrod e il povero padre Marco?!
Kalay e Amrod li hanno grigi e padre marco azzurri...
EliminaMolto evocativo. E confesso che non sapevo che ci fosse stata una rivalità espressa in forma diretta fra Leonardo e Michelangelo. O è solo un tuo espediente narrativo?
RispondiEliminaNo, l'episodio del litigio è riportato da Vasari. Non si potevano proprio vedere
EliminaComplimenti, Cristina, per la resa vivida dell'episodio e per l'analisi psicologica dei due protagonisti. Mi hai fatto anche tornare in mente la scena dello sceneggiato televisivo su Leonardo in cui lui osserva impotente colare tutta la sua pittura dalla parete.
RispondiEliminaNon ho visto lo sceneggiato... Immagino sia irrecuperabile :(
EliminaPS: sono Antonella, non Cristina ;)
Ah ah ah! Scusami, è che passando da un blog all'altro mi capita di capirci più niente con i nomi.
EliminaIo lo vidi nel 1971, ma ho visto che è reperibile su youtube ("La vita di Leonardo da Vinci" di Renato Castellani).