venerdì 24 aprile 2015

Io sono una lepre – racconto breve

Mi ero ripromessa di continuare a portarvi nel Leynlared, nel cuore delle mie storie fantasy e ho ancora intenzione di farlo. Non riesco a decidere, però, l'ordine dei racconti da presentarvi, perché un banale susseguirsi cronologico di eventi non darebbe giustizia dei complicati intrecci dei personaggi. D'altro canto, presentarvi dei racconti che sono legati tra loro, ma si ambientano a trent'anni l'uno dall'altro ha degli inevitabili lati negativi.
Mi prendo, quindi, ancora una settimana (forse due) di meditazione. Nel mentre vi propongo un racconto breve, uno dei primissimi che ho scritto, quasi una vita fa. Se ben ricordo, si trattava di un esercizio su un tema dato. La parola d'ordine era "plastica".


IO SONO UNA LEPRE

  Fulvia è un parrocchetto dalle piume sgargianti. Io sono una lepre spelacchiata e magra. Lucia è un pasticcino burro e panna, bello da vedere e da gustare. Io sono una creatura di sottobosco, dal sapore di selvatico. Carlotta è un fuoco d’artificio, da cui lasciarsi abbagliare. Io sono luce di candela.
  Me lo dice lo specchio, me lo dicono gli occhi che scivolano sull’olio opaco della mia immagine, senza fermarsi. Loro tucani, io corvo. Loro orchidee, loro gatte persiane di razza. Io micio nero senza coda, fiore di campo senza nome. Io invisibile ad attraversare la gente, tutta attenta a non farmi calpestare. 
  Oggi mi voglio travestire. Voglio anch’io una pelliccia bianca da gatto d’angora e la mia parte di sguardi e di sorrisi. 
  Via la felpa e i pantaloni, via foglie secche all’arrivo dell’autunno. Sotto, braccia e gambe sono rami d’inverno, nodosi e magri. Ma io faccio fiorire unghie fucsia sulla punta delle dita. Faccio apparire fiori e spirali arancione e verdi sul top e sulla gonna. Oggi voglio essere orchidea e farmi guardare. 
  Ho sete degli occhi di Claudio. Lui alto, lui biondo, lui arrogante. Lui all’ultimo anno di liceo, io al primo. 
  Voglio solo bere un poco il suo sguardo.
 E allora avanti, alta sulle zeppe. I lacci dei sandali sono viticci che si arrampicano sul polpaccio e grappoli di braccialetti scendono a tintinnare sui polsi. E poi verdi ombreggiature sulle palpebre, nevicano brillantini sulle labbra insieme al gloss…

 … Lo specchio mi guarda corrucciato. Adesso ho uno splendore di labbra turgide, rosa e luccicanti. Uguali ai piccoli ciondoli di plastica che porto attaccati alla cartella. E il top e la gonna hanno i colori delle confezioni colorate delle patatine. O di quelle altre cose che, ormai, non sono fatte neppure più di patate, estrusi di mais, qualsiasi cosa siano. Sanno solo di sale, senza un sapore proprio.
  Io ho già il mio sapore. Io so di selvatico.
  Io sono una lepre, tutta gambe e orecchie, brava a correre e a saltare.
 Adesso sembro una lepre mendicate, di quelle che vanno a raspare nella spazzatura, scoperta con il muso in un sacchetto di plastica. Pronta a soffocarsi da sola.

 Fulvia è un parrocchetto dalle piume colorate, Lucia è un pasticcino burro e panna, Carlotta è un fuoco d’artificio. Che si prendano la gabbia, i morsi e gli sguardi di una sera. Io sono una creatura di sottobosco e devo stare attenta se non voglio farmi servire su di un piatto da portata con contorno di verdure al forno. Non sono nata per catturare sguardi, per imprigionare i ragazzi come un pianta carnivora. Per me ci vuole un cacciatore attento, che sappia aspettare e inseguire. 
 Claudio è biondo è alto ed è arrogante, ma io non chiedo un’elemosina di sguardi. 
 Rimetto i miei abiti mimetici da animale da foresta, jeans e scarpe basse, così potrei riuscire anche a ballare. Libero i capelli dalla prigione di nastrini, niente fuliggine colorata a nascondere la pelle, niente più labbra fatte in serie. 
 Non c’è più nessun gatto d’angora a sorridermi allo specchio. Solo la solita figura dai capelli lisci come pioggia, fatta solo di gambe e braccia, dove gli sguardi scivolano come sul burro. Ma sono io. 
  Se qualcuno mi vuole guardare mi deve inseguire.
  Io sono una lepre.  

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