Mi chiedo che immagine abbiano i miei alunni di Dante, quando racconto loro che "nel mezzo del cammin di nostra vita" intendeva dire che aveva 35 anni.
Quasi sempre alle terze medie assegno un tema in cui devono immaginarsi dieci anni dopo. Quasi nessuno si rende conto che a ventitré anni molti saranno ancora studenti, pochi avranno messo su famiglia o saranno già diventati professionisti affermati. Le ragazze si immaginano quasi tutte già sposate o in procinto di farlo, ma questo, sia chiaro, non è andato a scapito della carriera. Si immaginano laureate e professioniste di successo. Nei temi dei maschietti la famiglia viene nominata poco, ma hanno tutti macchine di lusso, comprate grazie al proprio lavoro. Hanno officine avviate, studi di architettura o carriere da chirurghi.
È difficilissimo, da adulti, rispecchiarsi nei sogni dei ragazzi e non sentirsi inadeguati.
Così com'è difficile entrare a scuola, a trentacinque anni e accettare che sì, si appartiene ormai definitivamente e senza possibilità di fuga alla categoria degli adulti.
Per me, da ragazzina, "adulto" non era un gran complimento. Diventare grandi da una parte voleva dire realizzare i propri sogni, dall'altro chiudere per sempre l'età della fantasia, acquisire quella serietà che era tipica dei miei genitori. Non giocare più, ridere poco, parlare in modo pacato, avere mal di testa per la preoccupazione. Per quanto desiderassi andare avanti nella vita e realizzare i miei sogni non mi entusiasmava il dover accettare anche tutto il resto del pacchetto.
E adesso che sono qui, definitivamente e per sempre adulta, è strano rendersi conto che, in fin dei conti, non si sono realizzate né le speranze né le paure.
All'età dei miei alunni avevo ancora un'idea piuttosto vaga dei sentimenti. Credevo di essere una solitaria destinata alla solitudine. Mi immaginavo, a trentacinque anni, affermata nel lavoro, magari ricercatrice in qualche luogo affascinante e lontano, ma sola. Non mi rendevo conto allora che quella che sembrava una scarsa facilità nelle amicizie era semplice diffidenza verso i rapporti utilitaristici. Non avrei osato sognare il marito, gli amici, il nipote, i gatti, tutte le presenze di una vita colorata. Gli adulti, da ragazzina, li vedevo sempre vestiti di grigio, nero o, al massimo, di beige.
Non avrei immaginato che sarebbe stato il lavoro quello da inseguire, vezzeggiare e corteggiare. Non immaginavo, allora, che non solo non avrei smesso di sognare, ma mi sarei aggrappata a quel mio fantasticare fino a dargli una forma concreta. Mia nonna, quand'ero bambina, mi insegnava a inventare storie dalle forme delle nuvole. Mia mamma, l'essere adulto per eccellenza, sbuffava che era un'inutile perdita di tempo. Né la nonna, né la mamma, ma neppure la bambina di allora, avrebbero detto che avrei imparato a portare a terra quelle nubi, per dare forma più solida a quelle storie per condividerle con altri.
A trentacinque anni, iniziano ad assottigliarsi le possibilità. Il bosco delle possibilità di è rarefatto, siamo saliti di quota, dove rimangono i pascoli, prima delle nevi eterne. Avrei detto, da ragazzina, che di sicuro avrei corso, almeno una volta, una maratona. Già allora praticavo atletica, mezzofondo, non sembrava una prospettiva così improbabile, ma è una svolta che non ho imboccato. E il corso di alpinismo fatto a sedici anni? Alla prima occasione utile avrei ripreso a frequentare il CAI e sarei tornata alla roccia. Chissà, invece, in quale solaio sono arrugginiti i miei ramponi! E di sicuro, qualsiasi cosa possa accadere, ormai non diventerò madre di otto o dieci figli. Non prenderò un brevetto da pilota d'aereo ed è sempre più improbabile che possa mollare tutto emigrare in Australia.
Il bosco delle opportunità di dirada, i sentieri si biforcano meno. D'altro canto, dal bosco era quasi impossibile vedere le vette. Capire verso dove dirigersi.
Ma sopratutto, ci si può guardare indietro. Prima del bosco delle possibilità c'è ancora l'immagine di quella ragazzina che ero.
Credo sarebbe soddisfatta di vedere che non mi vesto solo di nero, grigio e beige. Che non ho smesso di sognare, di giocare e di ridere. In fondo, delle cose che sento di non aver raggiunto, le importerebbe assai poco. Sarebbe felice, però, di scoprire che non ho rinnegato nessuno dei libri che amavo allora, nessuno dei film. Sarebbe tra felice nello scoprire che quelle poche amicizie di allora ci sono ancora, sono cresciute e che la ragazzina sentimentalmente inetta è riuscita addirittura a catturarsi l'anima gemella!
Arrivata ai trentacinque anni, questo guardarsi indietro è quasi un obbligo. Ma non posso che chiedere anche a voi che passate di qui che rapporto avrebbe con voi il ragazzino/la ragazzina che siete stati.
Così com'è difficile entrare a scuola, a trentacinque anni e accettare che sì, si appartiene ormai definitivamente e senza possibilità di fuga alla categoria degli adulti.
Per me, da ragazzina, "adulto" non era un gran complimento. Diventare grandi da una parte voleva dire realizzare i propri sogni, dall'altro chiudere per sempre l'età della fantasia, acquisire quella serietà che era tipica dei miei genitori. Non giocare più, ridere poco, parlare in modo pacato, avere mal di testa per la preoccupazione. Per quanto desiderassi andare avanti nella vita e realizzare i miei sogni non mi entusiasmava il dover accettare anche tutto il resto del pacchetto.
E adesso che sono qui, definitivamente e per sempre adulta, è strano rendersi conto che, in fin dei conti, non si sono realizzate né le speranze né le paure.
All'età dei miei alunni avevo ancora un'idea piuttosto vaga dei sentimenti. Credevo di essere una solitaria destinata alla solitudine. Mi immaginavo, a trentacinque anni, affermata nel lavoro, magari ricercatrice in qualche luogo affascinante e lontano, ma sola. Non mi rendevo conto allora che quella che sembrava una scarsa facilità nelle amicizie era semplice diffidenza verso i rapporti utilitaristici. Non avrei osato sognare il marito, gli amici, il nipote, i gatti, tutte le presenze di una vita colorata. Gli adulti, da ragazzina, li vedevo sempre vestiti di grigio, nero o, al massimo, di beige.
Non avrei immaginato che sarebbe stato il lavoro quello da inseguire, vezzeggiare e corteggiare. Non immaginavo, allora, che non solo non avrei smesso di sognare, ma mi sarei aggrappata a quel mio fantasticare fino a dargli una forma concreta. Mia nonna, quand'ero bambina, mi insegnava a inventare storie dalle forme delle nuvole. Mia mamma, l'essere adulto per eccellenza, sbuffava che era un'inutile perdita di tempo. Né la nonna, né la mamma, ma neppure la bambina di allora, avrebbero detto che avrei imparato a portare a terra quelle nubi, per dare forma più solida a quelle storie per condividerle con altri.
A trentacinque anni, iniziano ad assottigliarsi le possibilità. Il bosco delle possibilità di è rarefatto, siamo saliti di quota, dove rimangono i pascoli, prima delle nevi eterne. Avrei detto, da ragazzina, che di sicuro avrei corso, almeno una volta, una maratona. Già allora praticavo atletica, mezzofondo, non sembrava una prospettiva così improbabile, ma è una svolta che non ho imboccato. E il corso di alpinismo fatto a sedici anni? Alla prima occasione utile avrei ripreso a frequentare il CAI e sarei tornata alla roccia. Chissà, invece, in quale solaio sono arrugginiti i miei ramponi! E di sicuro, qualsiasi cosa possa accadere, ormai non diventerò madre di otto o dieci figli. Non prenderò un brevetto da pilota d'aereo ed è sempre più improbabile che possa mollare tutto emigrare in Australia.
Il bosco delle opportunità di dirada, i sentieri si biforcano meno. D'altro canto, dal bosco era quasi impossibile vedere le vette. Capire verso dove dirigersi.
Ma sopratutto, ci si può guardare indietro. Prima del bosco delle possibilità c'è ancora l'immagine di quella ragazzina che ero.
Credo sarebbe soddisfatta di vedere che non mi vesto solo di nero, grigio e beige. Che non ho smesso di sognare, di giocare e di ridere. In fondo, delle cose che sento di non aver raggiunto, le importerebbe assai poco. Sarebbe felice, però, di scoprire che non ho rinnegato nessuno dei libri che amavo allora, nessuno dei film. Sarebbe tra felice nello scoprire che quelle poche amicizie di allora ci sono ancora, sono cresciute e che la ragazzina sentimentalmente inetta è riuscita addirittura a catturarsi l'anima gemella!
Arrivata ai trentacinque anni, questo guardarsi indietro è quasi un obbligo. Ma non posso che chiedere anche a voi che passate di qui che rapporto avrebbe con voi il ragazzino/la ragazzina che siete stati.
auguriiii, ma sai credo di aver già scritto qualcosa su questo tema nel mio blog, rispetto soprattutto alla professione. E comunque a voltarsi indietro si fa sempre in tempo ed è in realtà un esercizio che faccio spesso, non solo a 35 anni, che a dire il vero mi sembrano pochissimi. Un bacione Sandra
RispondiEliminaSì, non voglio tradire la me stessa ragazzina. Al momento, comunque, 35 anni non mi sembrano pochi, anzi.
Eliminaauguri :)
RispondiEliminasembrano tanti. poi ti distrai un'istante con la vita; sembra passato un mese e invece è un lustro. e sono già fuggiti.
tienteli stretti, se puoi ;)
Il problema, credo, è che si deve imparare a convivere con l'impossibilità di tenerli stretti...
EliminaAuguroni :)
RispondiEliminaIo ho dieci anni in più, quindi i tempi delle scuole medie mi sembrano ancora più lontani. C'è stata come una frattura fra allora e oggi. Non dico che sono cambiato radicalmente: ho conservato alcuni aspetti del me stesso di allora, come la capacità di astrarmi da tutto con la lettura (a quei tempi erano soprattutto fumetti, oggi libri), una certa propensione a isolarmi. Però, ecco, ero soprattutto terribilmente timido e talvolta rinunciatario in partenza su ogni situazione, cosa che oggi ho superato. Non so se il me stesso di allora sarebbe soddisfatto di me oggi, sicuramente il me stesso di oggi non è soddisfatto del me stesso di allora.
Ecco una prospettiva curiosa. Anch'io credo che la ragazzina di allora si facesse troppi problemi inesistenti...
EliminaInsegnando, il rapporto con i ragazzini è per me quotidiano. Credo che sia importante soprattutto per gli insegnanti non dimenticare del tutto il noi stessi di allora.
Ma sei ancora giovanissima! Aspetta di arrivare ai 40... e poi mi sai dire!
RispondiEliminaA parte gli scherzi, sono entrata nella tua riflessione con tutte e due le scarpe, perché sono sensazioni che condivido quotidianamente, quando mi volto indietro e vedo il percorso che mi ha portato ad essere ciò che sono; misuro i miei sogni con gli occhi puntati al futuro dei miei figli: un tempo miravo ad immaginare il mio, adesso sono loro che occupano tutti i miei pensieri, ogni mia aspirazione è un obiettivo costruito per loro.
Su una cosa ti do ragione da vendere: le possibilità si assottigliano, ma nessuna età cavalcante sarà in grado di rubarmi la fantasia.
E a quanto pare nemmeno a te! ;)
No, nessuno me la porterà via. I miei genitori sono persone molto concrete, forse, in fondo in fondo, mio padre ha un po' di propensione alla fantasia, ma se n'è sempre vergognato. Così da piccola mi ero fatta l'idea che fosse una caratteristica saliente dell'essere adulti, quella di non fantasticare più. Voglio molto bene ai miei genitori, ma non posso pensare alla mia vita senza gli spazi di sogno.
Eliminaho qualche anno in più di te, e negli ultimi due anni la vita non mi ha risparmiato esperienze "forti" come gravi malattie da affrontare ma leggendo questo tuo post mi sono voltata indietro, non solo di poco, vedendo sola la melma della Paura del cancro, ma vedendo più indietro quando anche io mi incantavo nel guardare le nuvole e fantasticare...Chissà dovrei riprovarci e magari trascinarle a terra con i sogni che contengono per colorare ogni giornata un pò grigia e appannata, potrebbe funzionare e magari riuscirò a venirne fuori da questo pozzo in cui mi trovo insieme alla grande Paura ..Grazie per questo post illuminante
RispondiEliminaAnnamaria
Il tuo commento mi ha colpito molto! Negli ultimi anni mi sono dovuta scontrare con la malattia altrui, per fortuna non la mia. Vedere i miei coetanei in rianimazione, però, mi ha fatto sfiorare con mano l'essenza della mortalità. Vedo, inoltre, quanto sia difficile riappropriarsi della vita, anche quando la malattia, almeno nella fase acuta, è passata. Non ho ricette ho consigli da dare, so, però, che a volte, per fantasticare ci vuole più coraggio di quanto non sembri, perché vuol dire riprendere possesso del proprio tempo e della propria possibilità di futuro.
Eliminagrazie, grazie di cuore per le tue parole
EliminaAnnamaria
Auguri di nuovo! :)
RispondiEliminaIo non sono ancora arrivata a trentacinque anni, mi manca ancora un anno e mezzo di strada. Ciò nonostante, la visione che ho di me stessa e della mia possibilità non è tanto lusinghiera.
Un paio di mesi fa ero sull'orlo di una crisi di nervi perché rifiutavo completamente la mia quotidianità, in quanto non corrispondeva ai progetti che avevo ai tempi dell'università e mi sembrava di aver sbagliato tutto e buttato un sacco di tempo.
Sai, ho studiato per tanti anni per trovarmi a fare un lavoro che non solo non mi piace, ma che addirittura è arrivato a crearmi dei problemi di salute e di autostima, non sono sposata e non ho figli, la carriera da scrittrice è stata interrotta da sei anni di silenzio e ora riprende a rilento... insomma... mi sentivo un completo fallimento e mi sembrava che ormai fosse troppo tardi per poter fare le cose che avrei voluto.
Ora boh, va un po' meglio. Io non ho mai avuto la tendenza ad arrendermi. Non ho raggiunto i miei scopi per il semplice motivo che... non ne avevo! Non sapevo cosa desiderassi dalla vita. Adesso lo so, e anche se non sono più una ventenne, forse non tutto è perduto. Ancora un decennio per cambiare le cose mi può far comodo. E forse riuscirò ad avere un lavoro che mi piace veramente, un'identità professionale definita, una stabilità familiare che ora non c'è perché Beppe, per motivi di lavoro, sta facendo avanti e indietro da Milano. Il sistema ha provato a escluderci, a mettere con le spalle al muro tutta la nostra generazione. Ma io ancora credo di poter essere più forte.
Sì, io non volevo nel post insistere troppo sulla precarietà, anche perché appena mi giro, vedo un sacco di amiche di talento conciate peggio di me. Insegnare (a determinate condizioni che nella scuola dove opero attualmente ci sono, ma altrove no) mi piace, ma a 35 anni con una laurea, un master e un'abilitazione sono ancora "di terza fascia" vale a dire "abusiva nella scuola". I figli non ci sono per molti motivi, nessuno dei quali, però, ha a che fare con il desiderio di averli e l'attività di scrittura è quanto di più aleatorio possa esistere.
EliminaPerò io ce la metto tutta e non cedo a compromessi. Su questo punto, credo, l'esigente preadolescente che ero, sarebbe d'accordo. Mio padre era un alpinista di valore e adesso sto leggendo libri a temi alpinistici, quindi mi viene naturale il confronto. Non tutte le vette si possono raggiungere. Rischiare la propria incolumità o la propria etica non ha senso. Il vento, il clima, il caso, i limiti oggettivi del fisico a volte contano più di tutto il resto. Questo non vuol dire che il nostro valore venga meno.
Mio padre si stava preparando per aprire una nuova via di roccia. In allenamento gli si è rotto lo zaino, è caduto e si è rovinato la schiena. La spedizione l'hanno fatta altri. Il suo sogno, una spedizione in sud america per cui si stava preparando da anni, è sfumato. A confronto di questo tutti i miei risultati non raggiunti impallidiscono. Eppure mio padre non mi ha mai dato l'idea di una persona insoddisfatta.
Quanto scrivi è sicuramente condivisibile anche perché, come ho imparato grazie al buddhismo, i risultati non si ottengono forzando i tempi o opponendosi allo scorrere delle cose. Ci sono momenti in cui è necessario essere umili, tirare i remi in barca e rendersi conto che così non ce la si può fare.
EliminaEppure se mi guardo alle spalle non posso fare a meno di pensare che lo stato in cui sono dipende dalla mia mancanza di carattere e dall'essermi lasciata fagocitare da problematiche che mi hanno tarpato le ali. L'insicurezza maniacale e la completa mancanza di autostima (caratteristiche sviluppate grazie al mio amorevole padre e ad altre persone che, nel relazionarsi con me, hanno costruito sui miei limiti la base per la propria forza) son il principale motivo per cui mi trovo intrappolata in una situazione dalla quale vorrei fuggire. Quindi la colpa è solo mia, e spetta a me, adesso, sistemare le cose.
Ci sono moltissime cose che vorrei dire, su questo argomento. Ma questa non è la sede adatta, quindi rimando a tempi migliori. :)
Come dici tu, non è forse la sede adatta, ma, così a pelle, direi che svilisci i risultati che oggettivamente hai conseguito e che non sono da tutti. Anch'io sono un'insicura con scarsa autostima, quindi ti capisco appieno. Credo, però, che alla nostra generazione troppi urlino dietro "non fate abbastanza!" anche quando proprio non è vero. Ogni tanto dobbiamo anche scrollare le spalle e dire "no, ho fatto un bel cammino. Magari poteva essere migliore, ma è comunque strada ben percorsa!"
EliminaSì, in fondo hai ragione. I risultati che ho ottenuto forse sono stati - più che a livello pratico - nella mia capacità di maturare caratterialmente, di perdonare il passato, di guarire certe paure paralizzanti. Forse la cosa importante è che ora ho degli obiettivi piuttosto chiari, alcuni evidenti e tangibili, altri più "spirituali", ma comunque importanti.
EliminaBelle queste tue riflessioni. Non avendo un buon rapporto con il passato, non mi sono mai domandata che rapporto avrei con la me-ragazzina. Allora non inseguivo abbastanza i miei sogni, perché pensavo che difficilmente si sarebbero avverati. Per esempio avrei voluto studiare zoologia e diventare etologa, ma mi sembrava troppo improbabile farcela, così mi sono iscritta alla scuola per interpreti, visto che tanto le lingue mi piacevano. Però non volevo viaggiare per lavoro, solo per diletto! Che logica, eh? Facevo danza e piacevo, ma ero convinta di avere iniziato troppo tardi. Cantavo, ma quando mi hanno chiesto di fare parte di un gruppo mi sono chiamata fuori. Ora mi domando - ed è proprio questo post a farmici pensare - come mai sono sempre stata così rinunciataria. Credo che la me-ragazzina, guardandomi adesso, mi stringerebbe la mano e mi direbbe: "almeno stavolta hai tirato fuori le palle e ci stai provando davvero".
RispondiEliminaSai, Grazia, dai un'immagine di te molto grintosa ed è difficile immaginare questa adolescente insicura! Credo davvero che sarebbe molto, molto fiera della te di adesso
RispondiEliminaHo letto questo post qualche giorno fa e l'ho gradito molto, ora finalmente trovo il tempo di commentare.
RispondiEliminaIl mio trentacinquesimo comple è stato duro per me, perché avevo promesso alla mia famiglia che dopo quel giorno mi sarei "messa calma", nel senso di smettere di girare intorno a vuoto come una gallina con la testa mozzata.
Da ragazzina pensavo che a trent'anni sarei stata sposata con figli, quindi rientro nella categoria di quelli che non ci hanno preso affatto.
Adesso se penso a come sarò a cinquant'anni ho il vuoto assoluto, tu riesci a immaginarti?
Vuoto assoluto anche per me!
EliminaIo mi immaginavo non sposata, ma con un lavoro prestigioso...