venerdì 3 aprile 2015

Prima che venga il gelo – Parte quarta

Parte Prima
Parte Seconda
Parte Terza

Riassunto breve: Ven Sender è un giovane pastore della Ley del Nord. Al suo capanno giunge un gruppo di giovani Coyranà che asserisce che poche miglia più a monte si sia consumata una congiura. Il governatore, il leyler, ha fatto uccidere il Leylord e il suo giovane erede.
Poco dopo, nel fiume dove Ven porta ad abbeverare le pecore, il pastore trova il corpo dell'erede, non morto, ma gravemente ferito. Con l'aiuto dei nomadi, lo nasconde nel capanno.

Siamo arrivati a quella che per me è il cuore del racconto. L'incontro di tre giovani alle soglie dell'età adulta in un momento di tempo sospeso, prima che il loro mondo cambi per sempre.

 Bussarono tre volte alla porta.
 Poi due.
 Poi ancora tre.
 Ven andò ad aprire.
 Vilaya era sola e non sembrava aver passato una notte migliore della sua.
  – Dove sono gli altri? – le chiese Ven.
 – I soldati della Ley non hanno simpatia per i Coyranà. Hanno distrutto il campo, così, per passare il tempo. Mio fratello ha avuto da ridire. Adesso ha tre costole e un braccio spezzato. Mia nonna è rimasta con lui.
  – E tu, sapendo che ci sono le pattuglie in giro, ti sei mossa da sola?
  – Sono una strega anch’io. Lui come sta?
  – Sembra che non sia così facile ucciderlo.
  Verso l’alba la febbre era finalmente scemata e Amrod si era svegliato di nuovo. Ven aveva scoperto che il principe delle Ley era proprio un uomo come qualsiasi altro, nei propri bisogni primari e, come qualsiasi malato, andava assistito.
  Adesso sonnecchiava con un’espressione corrucciata, proprio quella che era stata così tipica del fratellino di Ven.
   – Cosa dobbiamo farne di lui? – chiese il ragazzo.
  Vilaya sembrava assai meno baldanzosa del giorno precedente.
  – Mantenerlo vivo, suppongo. Sperare che sia la cosa giusta da fare… Per il momento nutrirlo. Avete mangiato?

  Ven aveva vegliato tutta la notte e rimase in uno stato di quasi dormiveglia a guardare Vilaya che con gesti pratici prendeva possesso del suo focolare e delle sue provviste. Tutto in lei era esotico. La pelle color dei sassi, il vestito aderente col corpetto in cuoio e la gonna a balze rosse, il modo in cui muoveva le mani dalle unghie tinte della stessa tonalità rossa della seta. Con noncuranza si sistemava i capelli che erano come una nuvola scura da cui emergevano piume, rammetti, ossa di uccelli e il guscio iridescente di un coleottero. Ognuno di quegli oggetti era un simbolo che Ven non sapeva leggere, che rimandava a un mondo che non era il suo. I gesti con cui tagliava le rape e la carne secca, però, erano abituali, gli stessi che compivano sua madre e sua sorella, come abituale era l’odore della torba e la luce rossastra che a malapena rischiarava l’ambiente. Probabilmente, pensò Ven, sarebbe morto per quello che stavano facendo. Almeno non sarebbe morto per proteggere un principe pervertito. Anche nel momento in cui gli avrebbero stretto il cappio al collo, avrebbe saputo che stava morendo per il sacrilegio di aver visto la luce del suo focolare riflessa sulle braccia nuda di una strega coyranà. 
  Quando la ragazza uscì a prendere l’acqua nel pozzo, Ven si accorse che il principe si era svegliato e lo stava guardando.
  – È lei la tua motivazione? – chiese.
  – Una coyranà? Volete scherzare?
 I Coyranà, i figli del vento, non si mescolavano agli uomini delle ley. Arrivavano, ballavano e ripartivano. Si diceva che non fossero neppure del tutto umani.
  – Però lei ti piace. – commentò il principe.
  – Certo che mi piace – arrossì Ven. – Ma non ha senso sognare l’impossibile.
  – Eppure non c’è altro modo per cambiare la realtà.
 Ven scosse il capo. Lui viveva come viveva suo padre, come aveva vissuto il padre di suo padre e il padre del padre di suo padre. Cercando di tenersi fuori dai guai, sottostando ai capricci del potenti e senza mescolarsi ai Coyranà. 
  Osservò il ragazzo ferito. Appariva pallido persino alla luce rossa del fuoco, concentrato nello sforzo di mantenere una parvenza di dignità e di non mettersi a piangere. Lontanissimo dall’idea di principe che Ven aveva.
  – Non ha funzionato molto il tentativo di cambiare la vostra realtà – disse Ven, rinunciando ad ogni formalismo.
  Amrod non rispose.
  Vilaya rientrò, terminò di cucinare e servì a tutti la stessa zuppa.
  Lei e il principe si erano scambiati qualche battuta in lingua coyranà. Anche la ragazza doveva essere una sorta di principessa. Una principessa strega, degna di incontrare il leylord.
  Anche se erano nella sua casa, era Ven ad essere l’intruso.
  La zuppa aveva il sapore consueto del brodo di carne con le rape, ma la ragazza vi aveva aggiunto qualche strana spezia, frammenti di verde e di rosso che galleggiavano nel liquido e che la mutavano in qualcosa d’altro, di sconosciuto, non del tutto gradevole.
  La conversazione languiva. Erano tre ragazzi stanchi sull’orlo dell’ignoto. Mentre il brodo piccante  pizzicava il palato, Ven pensò che in ogni giorno della propria vita aveva potuto dire cosa avrebbe fatto l’indomani, ma non in quel momento. Si chiese se quella sensazione allo stomaco fosse una reazione allo strano sapore o panico.
  – La tua famiglia approverà il fatto che tu mi abbia salvato? – gli chiese Amrod.
  Da bravo cortigiano, sentiva il dovere di fare conversazione durante il pasto.
  – Vi terrò nascosto, poi ve ne andrete e nessuno saprà mai che siete stato qui.
  – La mia sopravvivenza con ogni probabilità porterà la guerra nella Ley del Nord.
 Guerra… Ven non ne aveva mai vissuto la guerra, ma non era difficile immaginare cos’avrebbe comportato. Arruolamento forzato. Tasse.
  – Nuove probabilità di finire nelle miniere prigione per debiti, come lo zio – disse.
  – Quindi è vero. Il leyler rende schiave le persone che si sono indebitate con lo zaffiro.
  – Lo fa in nome del leylord, dovreste esserne a conoscenza – sbuffò Ven.
 – No. Le leggi delle ley stabiliscono che nessuna persona può essere ricondotta a uno stato di schiavitù, se non per omicidi crudeli e ripetuti o per la violenza su bambini o consacrate.
 Ven lo guardò con perplessità.
  – Non so cosa dicono le leggi. Io non so leggere. So che quando hanno portato via mio zio lo hanno fatto nel nome del leylord.
  Amrod annuì.
  – È questo il punto. Le miniere sono proprietà del leyler, ma pagare i minatori avrebbe comportato dei costi. Molto più semplice applicare su una popolazione analfabeta una legge inesistente e falsificare i rapporti per far sottostimare la propria ricchezza. Luvan, controllando i rapporti del nord se ne è accorto. Lo abbiamo detto a mio padre. È per questo che sono morti, lui e mio padre. E che anch’io devo morire.
  – Quindi è una menzogna che siate un amante d’uomini? – la domanda uscì spontanea, prima che Ven potesse fermarla.
  Amrod si umettò le labbra, prima di rispondere.
  – No. Ma nessuno scatenerebbe davvero una guerra civile per quello.
  Poteva essere vero. Oppure no. Ven si rese conto di non avere elementi per giudicare.
  – Che cosa avrebbe dovuto essere di mio zio? – chiese.
  – Innanzi tutto avrebbe dovuto pagare meno tasse, anche su questo i conti non tornano. In caso di insolvenza avrebbe dovuto pagare col lavoro sì, un giorno ogni dieci a favore della propria comunità, risistemare le strade, manutenzione nei templi, cose così. Invece cosa gli è accaduto?
  – Lo hanno portato via, verso le miniere. Non ne abbiamo saputo più nulla. Gli volevo bene come se fosse un secondo padre.
 Ven si accorse subito di aver sbagliato nell’usare le parole. Negli occhi del principe le lacrime lottavano di nuovo per uscire. Del resto suo padre era morto da quanto? Tre, quattro giorni?
  – Eravate molto uniti, voi e vostro padre? – chiese Vilaya.
  Coyranà o no, le donne sono sempre uguali, ragionò Ven. Pensano che piangere faccia bene e che si debba parlare, anche se invece tutto quello che si vorrebbe è essere lasciati in pace.
  – No – disse Amrod, con tono piatto. – Mio padre mi odiava.
  Ven alzò lo sguardo suo malgrado.
  – Non sono il figlio che avrebbe voluto, quello di cui le Ley avrebbero bisogno – continuò il principe. – Sin da quando ero piccolo è stato chiaro che non sarei stato il tipo di condottiero che falcia con lo spadone delle ley orde di nemici. Se mia madre avesse partorito un maschio più vigoroso sarei stato fatto uccidere in silenzio. Col veleno, credo. Quando è nata l’ultima delle mie sorelle, mia madre ha rischiato di morire. Il guaritore ha detto che per salvarla aveva fatto qualcosa che le avrebbe impedito di avere altri figli. Mio padre ha risposto che se la leyledy fosse morta lui ne avrebbe potuta sposare un’altra, che gli avrebbe dato un figlio degno. In quel modo il guaritore aveva invece condannato le ley. Io ho sentito per caso, ero nascosto dietro una tenda. Avevo sei anni. Da allora non ho fatto altro che cercare di dimostrare che il guaritore aveva ragione e che valevo la mia vita e quella di mia madre. Alla fine… Quando l’ultima pantera ci ha attaccati, mio padre si è messo in mezzo… Non me ne ero accorto... Alla fine l’avevo convinto… 
 Adesso piangeva. Proprio come una ragazzetta, con quel visetto pulito e il corpo esile che sobbalzava per i singhiozzi. Ven immaginò che Vilaya adesso fosse soddisfatte. Le donne vedono sempre come una vittoria quando gli uomini ammettono le proprie debolezze. 
  – Devo andare a controllare le pecore. – disse, alzandosi.
  Vilaya gli lanciò uno sguardo interrogativo.
  – Non è che ci sia molto da fare, ma devo controllare che non sconfinino in un’altra proprietà. Che non siano state attaccate da qualche predatore – spiegò. – Cose così. Non vogliamo che qualcuno passi di qui e si insospettisca, vero?
  – No. Fai come faresti ogni giorno. – annuì Vilaya.
  Mentre usciva, a Ven parve di cogliere uno sguardo grato da parte di Amrod.
  Principe pervertito o no, un uomo può accettare che una donna lo veda piangere, ma non un altro uomo.

Continua il prossimo fine settimana.

Anche se il racconto non si adatta molto alla festività, non mi resta che

AUGURARE UNA BUONA PASQUA A TUTTI I LETTORI DEL BLOG

Approfitto inoltre per segnalare che l'antologia DELITTI DI LAGO è ora disponibile anche in formato e-book a 4,99€ ed è in vendita qui

6 commenti:

  1. AUGURI io ne approfitterò per buttarmi in un nuovo progetto di scrittura di cui vi parlerò settimana prossima nel blog. Bene per l'e-book, non prevedere il formato digitale significa non essere al passo con i tempi. Sandra

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    1. Tanti auguri a te e all'orso-marito! E sono curiosa per il nuovo progetto!

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  2. Io non ho potuto farti gli auguri in tempo perché sono scomparsa....

    Il potere che approfitta di gente ignorante... un po' come in Italia! :)

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