mercoledì 26 agosto 2015

Natura e mondo classico – Saccenza non richiesta

Fonte: Wikipedia
In questo fine agosto di attesa (di capire che ne sarà di me a livello lavorativo, letterario e personale, che qui il precariato sta raggiungendo livelli esistenziali) ho poca voglia di parlare di scrittura. Quindi, nello spirito da magazine multiargomento del blog, ho deciso di inaugurare un'ulteriore rubrica: saccenza non richiesta.
Sono oppressa da una scarsissima resistenza alla noia e da una curiosità onnicomprensiva a cui si aggiunge un'ottima memoria per tutto ciò che non siano date e nomi propri. Ne consegue che accumulo nozioni senza alcuna utilità pratica e che tutta questa saccenza compressa ogni tanto debba venir fuori in modo spontaneo e quindi, non richiesto. La rubrica, quindi, avrà la solita periodicità "quando mi pare" e gli argomenti potranno spaziare dall'archeologia all'astrofisica, passando eventualmente per le preferenze sessuali dei merli. Cercherò di scrivere solo di argomenti che effettivamente padroneggio fornendo un minimo di riferimenti bibliografici a supporto.

Lo spunto per la rubrica me l'ha data la visita della mostra sulla natura nell'antichità esposta a Palazzo Reale a Milano. Mostra ricchissima di pregevoli reperti e debolissima di contenuti (sopratutto per quanto riguarda il mondo greco), cosa a cui la mia saccenza sente di dover porre rimedio.

NATURA E MONDO GRECO CLASSICO

I GRECI E LA NATURA

Gente di città e non di bosco
Il rapporto tra gli antichi greci e la natura è, curiosamente per una civiltà antica, più che altro un non rapporto.
I greci sono cittadini della polis, della città, sono i barbari incivili e i in particolare i galati (i celti) e i parti a vivere a contatto con la natura (da bruti quali sono), oppure sono donne selvagge da sterminare, come le Amazzoni. L'interesse del greco è incentrato sull'uomo, nell'arte, nello sport e nella filosofia, è sempre l'uomo il centro della speculazione, fino a che il filosofo Protagora arriverà a dire che "l'uomo è la misura di tutte le cose".
Del resto non è che i poveri greci abbiano un gran rapporto con le forze primigenie della natura e con gli dei che le comandano. Ogni tanto Gea, la madre terra, va da Zeus e "gravata dal peso di troppi uomini" (lo si legge in Eschilo) chiede che sia mandata un po' di guerra per sfoltirli. Amorevole, no?
Del resto per Zeus gli uomini sono tutt'altro che dei figlioletti prediletti, anzi. I greci hanno dovuto elevarsi da soli e con fatica dallo stato di natura, rubando il fuoco agli dei e pagandone un terribile prezzo. Anche se si sussurra che Urano (tipetto per altro poco raccomandabile) abbia insegnato agli uomini l'agricoltura, l'uomo greco è uno che si è fatto da sé, si è elevato dal suo stato di natura e le forze primigenie le onora più che altro per tenersele buone.
Con il mare ha un rapporto un pochino migliore che con la terra, ma solo perché lo conoscono meglio, Poseidone rimane un tipo da non irritare, così come i molti mostri marini, come Scilla e Cariddi.
La natura, quindi, se ne sta fuori dalla Polis. Ci si interagisce il meno possibile e, nel caso, si cerca di rabbonirla come si può.

L'eccezione di Artemide
L'unica divinità davvero connessa con la natura selvaggia, con i boschi e la caccia, è Artemide. In quanto selvatica, la dea ha un pessimo carattere, si può andare nei suoi boschi a cacciare, ma basta uccidere un cervo di troppo e la cosa finisce in tragedia (ne sa qualcosa Agamennone, che uccide per errore una cerva sacra e poi deve sacrificare alla dea la propria figlioletta Ifigenia).
Il modo giusto per onorare Artemide è fuori città, ma per poco tempo. Le fanciulle di Atene, alla fine della loro infanzia, passano qualche tempo nel tempio della dea, nel bosco, vestite di pelle (le orsacchiotte di Artemide). Poi lasciano i boschi e la natura, tornano alla polis e possono sposarsi, entrando a far parte della vita cittadina, non selvatica e generativa.
La cosa curiosa del rapporto tra i greci e la natura è infatti che solo chi sceglie la polis, la città, è generativo, di figli e di idee. C'è chi sceglie i boschi e Artemide, non rientra nella città, ma rimane bloccato in una sorta di eterna fanciullezza/preadolescenza e non può diventare madre o (più comunemente) padre.
Il mito è pieno di bei fanciulli (più raramente fanciulle, come Atalanta) che, seguaci di Artemide oltre il tempo consentito, rimangono nei boschi, amano la dea di un amore casto e non si uniscono a nessun altro. Cosa che, per altro, di solito fa infuriare Afrodite e porta a far finire malissimo questi bei fanciulli. Per chi volesse approfondire questo aspetto consiglio Il cacciatore nero di Vidal-Naquet.
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, quindi, la natura selvaggia non è fertile. Quella per la vita selvaggia è un'infatuazione fisiologica in età giovanile, ma poi bisogna tornare alla polis e ai propri doveri di cittadini, chi sceglie di rimanere nei boschi non genererà figli e tendenzialmente finirà male.

Altre eccezioni che vengono da lontano e portano guai
Le forze della natura, però ci sono e sono portatrici di forze selvagge e incontrollabili. Per questo contrarie alla polis, all'ordine e potenzialmente distruttive.
Ci sono almeno due altre divinità greche connesse agli aspetti più selvaggi della natura.
Cibele, la grande dea, che viaggia con un carro trainato da leopardi. Viene però percepita come straniera, orientale. Viene onorata, ma percepita come straniera, quasi una presenza disturbante nell'organizzazione razionale della polis. Un rapporto del tipo "va beh, non possiamo fare finta che non esista, però Cibele (con tutto quello che rappresenta) non sarà mai una di noi".
La seconda e più complicata divinità è Dioniso.
Complicato, se vogliamo, è già il suo rapporto con la natura. In quanto dio del vino è connesso più all'agricoltura e quindi a una natura addomesticata, anche se pare abbia un passato oscuro di età micenea, in cui era dio della vegetazione tutta. In quanto dio dell'ebrezza e delle passioni primordiali è invece connesso con la parte selvaggia che c'è dentro di noi. In questo senso è una divinità che va onorata e temuta. Onorare Dioniso vuol dire guardare negli occhi la parte selvaggia dell'uomo. Non a caso le tragedie, con le loro passioni scatenate e il peggio dell'uomo in scena, sono sacre a Dioniso e sono, secondo Aristotele, catartiche, perché aiutato a buttare fuori il peggio che c'è in noi. 
In Dioniso, però, c'è qualcosa di ancora più pericoloso. Non a caso, come Cibele, viaggia su un carro trainato da bestie feroci. Egli può, quasi letteralmente, trasformare gli uomini, persino le donne, in belve, farle regredire allo stato più selvaggio e indomabile. È il caso delle menadi, le folli di Dioniso, in grado di squartare e fare a pezzi anche gli animali selvatici e di nutrirsi delle loro carni nude. Al peggio, possono squartare e mangiarsi anche esseri umani. In particolare le menadi hanno la brutta abitudine di squartare (e mangiarsi?) uomini che hanno sottovalutato/deriso/cercato di fermare Dioniso e spesso, tornate in loro, si rendono conto che la loro vittima è un loro caro. Questo perché le menadi, pur nella loro pericolosa follia, sono sacre e non vanno mai fermate.
Di nuovo, quindi abbiamo una visione della natura come forza distruttiva e non generatrice, ma distruttrice. In questo caso una natura folle e incontrollabile che dorme dentro l'uomo (e la donna) civile e lo/la porta a compiere gesti innominabili e tuttavia sacri, perché voluti da un dio.
Ancora una volta un dio connesso alla natura è da onorare più che altro perché ti lasci in pace, non per avere la sua benevolenza..

La natura come campo d'indagine dell'intelletto.
La natura, quindi, è per l'uomo greco ciò che sta fuori dalla polis, un mondo selvaggio e pericoloso in cui è bene non indugiare oltre il tempo stabilito.
Dall'interno della polis, come cittadino della polis, però l'uomo la può studiare, con il fascino diffidente con cui noi studiamo il cosmo extraterrestre. Se l'uomo è misura di tutte le cose, può indagare, catalogare, spiegare le cose come sono e come funzionano.
La filosofia nasce come indagine sulla natura e diventa poi, pian piano, scienza nel senso proprio del termine. Abbiamo chi butta al macero le vecchie leggende e calcola l'esatta dimensione della terra, chi, come Aristotele, inizia a catalogare tutto, piante, animali, fenomeni naturali, chi inizia a disquisire sulla natura più profonda delle cose, arrivando a teorizzare l'atomo. Gli epicurei, che non a caso sono atomisti, teorizzano degli dei completamente disinteressati al mondo umano. Senza quelle vendicative divinità della natura in mezzo, quindi, si può indugiare anche nei boschi e nei luoghi selvaggi, ma non succubi della natura, come uomini della polis, dotati di logos e quindi capaci di sottomettere e comprendere anche le leggi ultime del cosmo. Alla fine, suppongo, il sogno dell'uomo greco è di annettere una natura ormai spiegata alla polis.

In definitiva il rapporto tra l'uomo greco e la natura è interessante proprio perché si pone in opposizione ad essa, ne ha paura e non ci indugia oltre il tempo stabilito (se no sono guai). Per questo l'arte greca, specie quella classica, non indugia molto sulla natura. Studia l'uomo nel dettaglio, crea statue dall'anatomia perfetta, ma non dedica altrettanta attenzione ad animali e vegetali, se non quando sono attributi di divinità.

Conclusioni.
Quello che mi ha colpito, in tutta questa indagine è stato:
– La natura selvaggia per i greci non è connessa alla fertilità. Anzi. Secondo Platone, del resto, la vera fertilità è solo quella del pensiero e non può che generarsi all'interno del discorso filosofico dentro la polis. Chi sceglie Artemide non sarà mai padre, ne di bimbi ne di pensiero.
– La terra non è una madre benevola per gli uomini. Hera non è una madre benevola per gli uomini (ricordiamo che regala alla sua sacerdotessa una rapida morte per i figli...). Artemide è connessa alla terra e non è madre affatto. Cibele è connessa alla terra, è madre, ma non si sa di chi. Di certo non dei greci. Poca presenza di una madre terra generatrice, mi pare.
– La natura selvaggia che fa paura ai greci è quella interna all'uomo. Artemide, Poseidone e tutte le altre divinità connesse agli aspetti selvaggi della natura possono portare grandi disgrazie, ma è quando Dioniso che si impossessa di te, scatenando i tuoi istinti più profondi che puoi squartare tuo figlio. Tuttavia, mentre quando fai arrabbiare Artemide, Poseidone e similia un po' te la sei andata a cercare, di Dioniso puoi essere puro strumento e quindi sacro.
– L'uomo può indagare la natura, ma senza mescolarsi ad essa, col proprio logos, stando nella polis. Chi sceglie i boschi come propria dimora rinuncia alla filosofia, alla saggezza e a tutto ciò che rende l'uomo tale.

Saccenza condivisa, bibliografia
Canfora L. – Il mondo di Atene, Laterza
Eschilo – Tragedie (in particolare Agamennone)
Euripide – Baccanti
F. Graf – Il mito in Grecia, Laterza
Duby G, Perrot M. –Storia delle donne in occidente, Vol1, cap.1, Laterza
Vidal-Naquet P. – Il cacciatore nero, forme di pensiero e forme di articolazione sociale nel mondo greco antico, Feltrinelli


E i romani?
I romani hanno già un rapporto più ambiguo con la natura. Anche loro si riconoscono come urbani, nel senso di "cittadini dell'urbe" e non pagani "cittadini dei villaggi" o, peggio, abitanti dei boschi. Subiscono, però, il fascino della natura selvaggia (il circo, con uomini contro belve, sarebbe inammissibile nella Grecia Classica delle olimpiadi, uomini contro uomini) e conservano tracce di una ritualità antica, molto più connessa alla natura di quanto forse loro stessi ne fossero consapevoli (penso in particolare ai riti legati al "Re di Nemi"). Si tratta però di argomenti poco indagati da chi cavilla su queste cose per lavoro e su cui io non mi sento di addentrarmi.

Spero che questa prima puntata di "Saccenza non richiesta" sia stata il giusto mix tra interesse e noia soporifera e che, chissà, magari possa ispirarvi qualche racconto.

2 commenti:

  1. Mi sento molto in sintonia con la tua "curiosità onnicomprensiva"! Ci combatto spesso, perché mi fa diventare dispersiva.

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    1. Quando faccio proprio la full immersion in un argomento, piuttosto che piluccare qua e là, uso come scusa la documentazione per un romanzo, futuro, possibile o solo ipotetico che sia.

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