martedì 27 ottobre 2015

La mano sinistra delle tenebre – riletture (retrospettiva Le Guin)


Dopo il post dedicato alla saga di Earthsea e a quello sul romanzo fantascientifico I reietti dell'altro pianeta, siamo arrivati a quello che è il romanzo che in assoluto amo di più della mia autrice più amata.

Avevo sognato di scrivere questo post con calma, in un pomeriggio ozioso, con una tazza di the in mano, scegliendo le parole a una a una. Ma è il tempo che sceglie noi e non viceversa, quindi tra lo splendido (ma impegnativo) Girolago Bimbi di domenica, il collegio docente e la riunione di programmazione, si rubano i minuti dove si può, scrivendo più d'istinto che di testa.

La mano sinistra delle tenebre. Difficile raggrumare in poche parole coerenti l'intrigo di suggestioni, emozioni e pensieri di un libro che mi ha colto di sorpresa, rivelandosi diverso da qualsiasi altra cosa avessi letto, tutt'altro rispetto a quello che mi aspettavo, imprimendosi con forza non solo nel mio immaginario, ma nel mio modo di vedere il mondo.

Quando parliamo non tanto o non solo di un capolavoro riconosciuto, ma di un affetto, c'è tanto di emotivo, individuale e circostanziale.

Estate 2003. Chi non la ricorda? L'estate passata alla storia come la più calda di sempre. Ha segnato per sempre il mio ingresso nell'età adulta. Mia madre è stata sottoposta a un primo intervento chirurgico, il primo di tanti che si sarebbero susseguiti negli anni. Io vivevo a Pisa, all'epoca, dove studiavo, ma non disdegnato di passare semestri interi all'estero, usufruendo di tutti quei meravigliosi programmi di scambi studenteschi. In quell'estate ho capito che non c'era una vita all'estero nel mio futuro ma che, da figlia unica quale solo, sarebbe stato il caso di attrezzarmi per un domani più vicino alla mia famiglia. Ho smesso di vivere a braccio, programmando i passi successivi dell'esistenza, una tesi da svolgere in Piemonte, anche se la mia università continuava ad essere quella di Pisa, un futuro professionale che non poteva essere quello della ricercatrice. Una presa di coscienza che non mi sento certo di definire traumatica, ma che ha comunque diviso il tempo dei sogni puri da quello dell'essere.
Nell'estate 2003, mentre ero al madre con mia madre, in convalescenza, ho letto I relitti dell'altro pianeta e La mano sinistra delle tenebre che hanno segnato, anche sul piano letterario, il mio passaggio all'età adulta. Un'autrice, la Le Guin, che avevo conosciuto a nove anni con il primo romanzo de La saga di Earthsea. Come a dirmi "ecco, adesso sei grande, queste sono le storie con cui puoi confrontarti".
I reietti dell'altro pianeta, che ho letto per primo e che molto mi era piaciuto, non mi aveva comunque preparato all'impatto che questo romanzo avrebbe avuto.

La mano sinistra delle tenebre
Si presenta come una relazione, quella di Genly Ai, Primo Mobile sul pianeta Gethen. Il Primo Mobile altro non è che l'inviato dell'Ekumene (una sorta di ONU interplanetaria) che ha il compito di dire ai nativi di un pianeta: "salve, non siete soli nell'universo, io ad esempio vengo da un altro pianeta. Va tutto bene, non vogliamo invadervi, solo comunicare, dopo tutto siamo comunque quasi tutti umani" e sperare di non essere ucciso.
Di provenienza terrestre, Genly Ai è quindi un alieno su Gethen, un pianeta glaciale dal clima estremamente rigido cosa che (forse) ha portato gli esseri umani che vi abitano a un peculiare adattamento, sono ermafroditi e quindi, per la maggior parte del tempo, di genere neutro.
Il Primo Mobile si è preparato una vita intera per la sua missione, ma conoscere a livello intellettuale non significa capire davvero una civiltà, è il caso di dirlo, così aliena.
Quando il lettore si abitua alla relazione di Genly (inframmezzata da vari documenti da lui racconti) ecco che l'io narrante cambia completamente. Ci vuole un attimo a capire che nella relazione è stato inserito un diario personale di Therem Harth rem ir Estraven, nobile di Karinde, una delle nazioni di Gethen. Di colpo l'essere umano è l'alieno. Non solo, di colpo il lettore si trova a guardare il mondo con gli occhi di un personaggio che ha un sistema di valori e di certezze completamente diverso dal nostro, provando quasi in prima persona lo shock culturale dei personaggi.
Tutta la vicenda è narrata con un'eleganza raffinata che da sola e la metà del fascino del libro. La Le Guin ha la capacità unica di modificare la sua prosa per adattarla all'ambiente che narra. La prosa secca de I reietti dell'altro pianeta, lascia spazio a un periodare arioso e fluido. La bellezza fredda e aliena di Gheten viene resa in descrizioni che hanno lo splendore dei fiocchi di neve e da un punto di vista puramente stilistico questo romanzo per me è sempre rimasto un modello inimitabile.

Una questione di genere
La cosa più macroscopica, che a nessun lettore può sfuggire, è che questo romanzo è una riflessione su come la nostra società sia condizionata dalla differenza di genere dell'umanità e di quanto questa sia (o non sia) culturale.
Ursula Le Guin immagina un pianeta senza genere, in cui ogni individuo possa essere padre o madre, cercando di immaginare quali società una situazione simile può creare. Come sempre le riflessioni della Le Guin non sono mai né semplici né banali. Gethen è un pianeta complesso, con società diverse e in competizioni tra loro, la presenza di una popolazione ermafrodita non semplifica la società e non abbatte le differenze sociali che, tuttavia, si esprimono in modo diverso. Non è un'utopia né un mondo ideale. Anche quello che viene presentato come assunto all'inizio del romanzo "su Gethen la guerra non esiste" viene smentito nel corso della storia e si trasforma in un molto più sinistro "su Gethen la guerra ancora non esiste". 
Tuttavia, lo sguardo di Genly Ai ci rende subito consapevoli di quanto sia difficile astrarre un individuo dal genere di appartenenza. Come ci viene fatto notare, è la prima cosa che chiediamo di un neonato, prima di sapere qualsiasi altra cosa di lui. Determina la nostra identità in un modo troppo profondo da poterlo negare del tutto. Poi ci sono le sovrastrutture mentali. Come Genly tendiamo a trarre conclusioni diverse da un comportamento se a metterlo in atto è un uomo o una donna. Tehrem Hart è, per buona parte del romanzo, indecifrabile agli occhi di Genly che cerca di incasellarne il comportamento in un'ottica terrestre, riconducendolo a riferimenti terrestri (un nobile feudale) che non hanno ragione di essere su Gethen. D'altro canto Genly Ai è vivisezionato con crudele imparzialità da Therem Hart, che lo vede come puro essere umano.
L'effetto è particolarmente spiazzante per il lettore.
L'autrice ha fatto un peculiare esperimento. Il romanzo usa il maschile per i Gethiani, ma in seguito è stato scritto un racconto Re d'Inverno, in cui viene usato il femminile. Il lettore (io in primis) immagina i personaggi in modo diverso. Questo, immagino significhi come sia impossibile per chiunque di noi immaginare davvero un essere umano senza dargli una connotazione femminile o maschile. Del resto, come spesso accade nelle sue opere, la Le Guin non impone una visione del mondo, ma obbliga a scontrarsi con degli interrogativi.

Non solo una questione di genere
La riflessione sul genere è l'aspetto più macroscopico in un romanzo densissimo.
Ursula Le Guin è figlia di un antropologo e, anche se poi ha scelto un altro campo, è cresciuta respirando antropologia e forse questo è il romanzo in più questo aspetto è evidente.
La mano sinistra delle tenebre è una storia di incontro di civiltà. Tra tutti i mondi immaginari di cui ho letto Gethen è tra i più peculiari, con civiltà molto diverse al suo interno, descritte con una profondità sociologica e filosofica che non ha pari.
Genly Ai è uno straniero che ha molto studiato queste civiltà, ma non le conosce fino in fondo. Arriverà a capire che è stato mandato solo, come Primo Mobile, non solo perché non rappresenti una minaccia, ma perché la sua solitudine lo obblighi a entrare in contatto profondo con i locali, fino pensare come loro, a sognare come loro.
Questo è il senso della frase che ho scelto come copertina del blog
Stenderò il mio rapporto come se si trattasse di una storia, perché mi è stato insegnato, quand'ero bambino, sul mio pianeta natale, che la Verità è una questione di immaginazione.
Non ci può essere comprensione profonda senza coinvolgimento emotivo. L'immaginazione, l'immaginarci nei panni dell'altro, in un altro punto di vista, ci porta verso l'empatia e quindi verso una comprensione più profonda. 
Non si può capire una popolazione diversa se la si guarda attraverso un vetro, come fossero batteri al microscopio. Non si può capire l'altro da noi senza mettere in campo la propria emotività, senza che diventi anche un rapporto personale, tra un io e un tu.
Per capire l'altro bisogna sporcarsi le mani, mettersi in discussione. E poi accettare che il proprio punto di vista sia comunque parziale. Due visioni opposte possono essere ugualmente vere. I fatti non sono solidi, coerenti, reali. Come le perle, hanno una loro sensibilità.
Questo aspetto, la riflessione sull'intelligenza emotiva e le sue implicazioni nell'apprendimento sono forse gli elementi della narrazione che mi hanno colpito di più, molto più che la macroscopica questione del genere.
Infine questo romanzo è un continuo susseguirsi di suggestioni. È un libro denso, in cui quasi non c'è pagina che non evochi immagini, sogni, riflessioni. Sono stata stregata da una delle filosofie di Karinde, l'unica nella galassia ad aver trovato un modo per ottenere profezie affidabili. Peccato che lo scopo di tali profezie sia la dimostrazione di quanto sia inutile conoscere il futuro. C'è un'unica certezza importante nel futuro di ciascuno: che si debba morire. C'è un'unica domanda importante: cosa c'è dopo? E a questo non c'è risposta (questa frase l'ho citata a memoria, abbiate pietà).

Solo la storia di due individui
In tutte queste suggestioni, alla fine, a livello emotivo, questo romanzo è la storia di due individui. Genly Ai e Therem Hart, che per tre quarti di libro non si capiscono, si insultano senza volerlo, si inseguono senza trovarsi e poi sono costretti a convergere per qualcosa che trascende le loro personalità (convincere gli abitanti di Gheten che ci sono altri esseri umani nell'universo può forse distogliere i governanti del pianeta dai propositi di guerra), ma che pure non può non coinvolgere sul piano personale.
Il cuore emotivo del romanzo è la lunga fuga dei due attraverso un ghiacciaio. Due alieni, che vengono letteralmente da mondi diversi, costretti da dividere una tenda e le poche attrezzature di sopravvivenza. Nella loro assoluta semplicità, questi capitolo hanno una forza emotiva enorme. È difficile non sentirsi con loro, terza presenza non vista nella tenda, partecipi della loro solitudine e dei tentativi, in parte maldestri, in parte strazianti, di gettare una corda oltre l'abisso delle reciproche differenze.
Nella maggior parte delle storie ci viene detto che l'amore è ciò che fa superare le differenze. In questo romanzo, c'è invece una precisa volontà intellettuale. Genly Ai e Therem Hart non si piacciono e certo non si desiderano, ma hanno in comune lo stesso progetto che, se vogliamo, possiamo definire politico. È questo il motore che li porta a convergere e solo in un secondo momento la relazione si fa personale, di amicizia, stima, pur nell'impossibilità di una completa comprensione reciproca.
I sentimenti, ho pensato leggendo questo libro, possono essere profondi anche senza essere semplicistici. Si può stimare qualcuno senza capirlo fino in fondo e la fiducia è comunque, in ogni caso, un azzardo. Può sembrare una banalità, sicuramente lo è, ma leggendo questo romanzo a ventitré anni ho capito davvero per la prima volta che la totale comprensione e conoscenza tra pari non solo è impossibile, ma persino non necessaria. Nel rispetto dei silenzi e delle distanze incolmabili, negli anni successivi, ho stretto alcune dei rapporti più solidi e arricchenti.

Io piango spessissimo quando guardo i film, ma assai raramente quando leggo. Posso dire di aver amato questo romanzo per il suo spessore filosofico e la profondità dei temi che tratta, ma la verità che leggendo le ultime pagine ho pianto e singhiozzato senza ritegno.

Curiosità: La mano sinistra delle tenebre e Darkover
Quand'ero adolescente, negli anni del liceo, giravano tra le ragazze dal carattere ribelle e amanti del fantastico i romanzi della saga di Darkover, di M. Zimmer Bradley. Credo che a modo loro abbiano segnato una generazione. Sono ambientati su un pianeta gelido, che si scopre essere una perduta colonia terrestre, dove vi è una razza ermafrodita e vi è diffusa la telepatia.
Pianeta gelido, razza ermafrodita, telepatia è uguale a Darkover, ma anche a Gheten.
Ho scoperto in seguito che Darkover doveva esser un mondo caldo e coperto da giungle (ce n'è ancora traccia in uno dei romanzi editi), prima che l'autrice leggesse La mano sinistra delle tenebre. A seguito della lettura fece una sostanziale riscrittura, dando a Darkover la sua fisionomia definitiva.
Di questo vi è traccia in numerose interviste, M. Zimmer Bladley non ha mai nascosto da dove avesse preso le idee (e immagino che la Le Guin ne fosse informata, forse anche soddisfatta), ma la scoperta mi ha lasciato un fondo di irritazione non da poco. Perché gli elementi che la Le Guin tratta con estrema delicatezza, senza entrare mai nello scabroso, diventano nella saga di Darkover la base per storie molto più commerciali, con intrighi amorosi degni delle peggiori telenovele. Inutile dire che la saga di Darkover ha venduto infinitamente di più di questo raffinato romanzo.
Benché  abbia amato molto alcuni capitoli della saga di Darkover (alcuni li sto rileggendo proprio ora), il fatto che gli elementi che avevo trovato più intriganti e originali alla fine non fossero per niente originali non mi mai andato giù del tutto. Non plagio, certo, forse neppure appropriazione indebita, ma una mancanza di delicatezza, come maneggiare una farfalla col maglio di un fabbro.

Ho scritto un post lunghissimo, non poteva essere diversamente, temo.
Giovedì partirò per Lucca e domani mi attendono ancora verifiche da preparare e da correggere. Ci si rileggerà, quindi, a novembre, sui venti dell'autunno inoltrato.
Non mi resta che chiedervi quale sia il libro che ha un posto speciale nel vostro cuore. Mi raccomando, che sia una scelta di cuore e di pancia più che di testa. Gli incontri speciali, del resto, sono tali anche perché avvengono nel momento giusto, perché quelle pagine erano proprio ciò di cui avevamo bisogno in quel momento.

11 commenti:

  1. Ragionando con il cuore e non con la testa, mi viene da dire "Con la morte nel cuore", di Gianni Biondillo. So che è un giallo pieno di parolacce e di sangue, però sono rimasta fin da subito entusiasta per la lucida ironia con cui l'autore rappresenta Milano, al punto da erigerlo a modello d'elezione. Ne parlerò però un po' meglio sul blog. :)

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    1. Penso che alla fine nel scegliere una rosa ristretta di preferiti, in qualsiasi campo, emergano dei fattori emotivi, oltre che intellettuali. Ci sono libri e film che riconosciamo come capolavori, ma magari una lettura e una visione ci basta, altri che rileggeremmo o rivedremmo in loop anche se li riconosciamo come meno perfetti.

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Anche per questo libro vale quello che scrissi in merito ai "Reietti". Anche in questo caso la mia memoria ritorna agli anni '70 e alla prima edizione, e di nuovo ricordo il grande clamore suscitato all'epoca, ben evocato anche dall'apprezzamento del Newsweek sulla copertina del libro.
    Venendo alla tua domanda e ragionando con cuore e pancia potrei dire "Cuori in Atlantide" di Stephen King. Era il 2000 e la prima delle storie che compongono il libro, "Uomini bassi in impermeabile giallo", mi commosse a dismisura. Anche il film con Anthony Hopkins che ne è stato tratto mi fa lo stesso identico effetto, a dispetto della critica cinematografica che lo ha maltrattato.
    Buona Lucca!

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    1. Questo romanzo dovrebbe essere del 1969 se l'ho trovato strano e innovativo io nel 2003 posso solo immaginare l'impatto che ebbe all'epoca, sia da un punto di vista stilistico, con questi bruschi salti di punto di vista, sia per i temi che trattava.

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  4. "La mano sinistra delle tenebre" mi è piaciuto moltissimo, ed è come se mi avesse mantenuta stupita dall'inizio alla fine. E' così particolare che non mi sembrava affatto ovvio esserne tanto coinvolta, anche se la Le Guin è meravigliosa. Ho provato una tale vicinanza con Genly Ai, e ne sto provando una simile con Shevek, leggendo "I reietti dell'altro pianeta" . Una sensazione davvero difficile da descrivere.

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    1. Sì, è un libro speciale (I reietti mi piace molto, ma lo trovo comunque più freddo, poi ha quello strano andamento a spirale per cui una linea narrativa sai già dal principio come andrà a finire...).
      A Genly Ai in un paio di punti avrei dato uno schiaffo perché alcune sue scelte era OVVIO che avrebbero portato solo guai, ma come si fa a non volergli bene? E alla fine ho pianto tantissimo, dal momento in cui ho iniziato a intuire cosa sarebbe successo...

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  5. Non conosco "Re d'Inverno", ma "La mano sinistra delle tenebre" è davvero speciale. Letto qualche anno fa mi ha colpito tantissimo, quando invece "I reietti dell'altro pianeta" a tratti mi ha annoiato. Per il 2016 ho in programma l'intera saga di Terramare quindi potrò presto dire qualcosa anche di questo. (PS: W la fantascienza :P )

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    1. W la fantascienza! Il racconto è contenuto nell'antologia "I dodici punti cardinali" di cui ho una vecchia edizione nord.

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  6. Ricordo bene l'estate del 2003, anche per me è stata quasi uno spartiacque nella mia vita.
    Un libro che ha un posto speciale nel mio cuore è Passaggio in ombra di Maria Teresa Di Lascia mi ha fatto tornare la voglia di scrivere cosa che per un certo periodo avevo accantonato.

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    1. È stata un'estate particolare che, nel bene o nel male, ricordiamo tutti

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