mercoledì 14 ottobre 2015

Scrivere significa chiedere a qualcuno di rinunciare a un pezzo della sua vita per leggerci


Oggi, un po' a sorpresa, è tornato il sole. Una giornata che si è schiusa inaspettata a tutti i colori dell'autunno, con gli alberi che garriscono i loro gialli e i loro rossi e quei vanitosoni degli aceri e delle ginkgo (i miei preferiti in autunno) che fanno a gara per farsi notare.
Una cornice inusuale per una riflessione forse un po' crepuscolare.

Leggimi! Leggimi! LEGGIMI! PRESTAMI ATTENZIONE! Leggimi! Leggimi! Leggimi! LEGGIMI!
A volte mi sembra che in mondo degli aspiranti autori, degli autori esordienti e, sì, anche di quelli affermati abbia un po' questo rumore di fondo. Una continua, prestante richiesta di attenzione. Gente che invia il proprio romanzo a 30/40/50/100 case editrici nella speranza di una pubblicazione. Invia a 100 concorsi lo stesso racconto. Quasi che la pubblicazione fosse un pesce, per cui una rete più grande moltiplica la possibilità di cattura. 
A fronte di un mercato sempre più asfittico, con, per altro, guadagni sempre più bassi, c'è sempre più la richiesta di avere sul proprio scritto attenzione. Non mi pubblichi? E allora ti invio mail fino alla sfinimento! Non mi pubblichi di nuovo? Mi autopubblico e appesto fb, mail, ogni sorta di contatto di avvisi, che il mio libro, solo il mio, esclusivamente il mio, ha necessità di attenzione.
Leggimi! Leggimi! LEGGIMI!!!

Una volta in un articolo su La Repubblica un'autrice affermata di fama internazionale (non chiedetemi chi, la mia memoria è strana, ricordo la frase, ricordo il quotidiano, ma non il nome dell'autrice) dava agli aspiranti autori (poeti, nel caso specifico), questa perla di saggezza.
Chiedere di essere letti significa chiedere a qualcuno di rinunciare a un pezzo della propria vita per noi.
Lì per lì mi parve un acido commento, fatto dal solito arrivato con la puzza sotto il naso. Eppure, quella frase mi è rimasta dentro.

Leggere è un'attività che richiede tempo e attenzione.
Il mondo è pieno di libri.
Ognuno di noi ha degli autori preferiti con cui va a colpo sicuro, sa che a livello emotivo ne ricaverà qualcosa, consolazione, intrattenimento, divertimento, commozione, stimolo intellettuale. Sa che aprendo quelle pagine non butterà il proprio tempo.
Aprire un libro di un autore sconosciuto, invece, è un salto nel buio. Significa rinunciare a fare qualcos'altro, non importa cosa, per inoltrarci in un'attività che, per quello che ne sappiamo, potrebbe appagarci, ma anche frustrarci.

Io, me ne rendo conto, sono la prima a buttarmi con difficoltà su libri di cui non so nulla, scritti da autori per me sconosciuti. Sopratutto se si tratta di piccoli, minuscoli editori, sopratutto se si tratta di autopubblicati.
Da autrice non certo affermata questo sa di snobismo, me ne rendo conto. Dovrei essere la prima a cercare e a promuovere nuovi autori. Una volta lo facevo, provavo un piacere del tutto particolare nello scovare un libro meraviglioso che ancora nessun altro, almeno nella mia cerchia di amici, conoscesse. Ora, però, il tempo è la cosa più preziosa che ho e quel piacere, che pure c'è ancora, è macchiato dalla frustrazione per le letture infruttuose. 
Quando apro un libro voglio che sia bello, che ne sia valsa la pena. Mi rendo conto che preferisco rinunciare a qualche perla sconosciuta, piuttosto che passare ore o giorni a setacciare il sottobosco letterario. A maggior ragione se si paga. A volte, in certe sere, ho ancora la pazienza di iniziare du EFP (ad esempio) dieci o venti racconti sgrammaticati e insulsi per arrivare a quell'unico racconto che valga la pena di leggere. Non ho la forza, la voglie e le finanze per farlo se si tratta di opere a pagamento.

Lo so che tutto ciò può sembrare spocchioso e crudele. E non voglio assolutamente dire che tutti coloro che pubblicano per autori minuscoli abbiamo sbagliato (cosa dovrei dire io?) o che chi si autopubblica non debba farlo.
Mi rendo semplicemente conto che è vero.
Chiedere di essere letti equivale a chiedere a qualcuno di rinunciare a una parte della propria vita.
Quando apro un libro di cui non conosco l'autore sto facendo un investimento di tempo ad alto rischio. Potrebbe essere meraviglioso, potrebbe essere pessimo. Se sarà pessimo, io avrò rinunciato per lui a qualcosa di più importante o, almeno, di più appagante.

Non voglio dare lezioni a nessuno. Io per prima, penso che dovremmo esserne tutti più consapevoli. Chi ci legge ci regala la cosa più preziosa che ha, il proprio tempo.

Dobbiamo del rispetto al lettore che rinuncia a un pezzo della propria vita per la nostra storia.
Non importa se i nostri lettori sono 10, 1000 o 10000, dobbiamo rispetto a ciascuno di loro, perché hanno scelto di leggerci e di leggere proprio noi invece che fare altro.

Se poi un'opera proprio no va si può, certo, dare la colpa al marketing, all'editoria e a tutto il resto, ma chiediamoci anche se è davvero la cosa migliore che possiamo offrire ai lettori.
Mi tolgo un sassolino. Non mi piace chi, da autore esordiente, critica i lettori, che vogliono solo Fabio Volo, che non lo capiscono, che non sono pronti per il suo capolavoro. Da lettrice non mi invoglia gran che l'idea di rinunciare a un pezzo della mia via, per quanto piccolo, per qualcuno che già di base mi disprezza. 

Capire che chiedere di essere letti vuol dire chiedere di rinunciare a un pezzo di vita per leggerci vuol dire spingerci a far sì che per il lettore ne valga la pena.
Non basta essere gradevoli, non basta essere corretti. 
Dobbiamo al lettore qualcosa in più, un'emozione speciale, un frammento della nostra anima, qualcosa che cambi, seppur di poco, il suo modo di vedere, se non il mondo, almeno quella sua particolare giornata. Che non possa pensare, neppure per un istante, che il tempo passato sulle nostre pagine sia stato buttato.

Io non so se ci riesco, ma so che questo è lo spirito con cui scrivo. Far sì che per il lettore il tempo speso sulle mie pagine sia stato ben investito.
Voi cosa ne pensate?

28 commenti:

  1. Sono del tutto d'accordo; ho postato lo stesso concetto qualche volta anche io. Pur se contro il mio interesse: dopotutto tu almeno sei pubblicata con un editore - piccolo o grande che sia - e io neppure quello.
    Il tempo è la nostra unica ricchezza, e svanisce ogni minuto che passa: c'è un regalo più grande che una persona possa fare?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. No. E dobbiamo esserne consapevoli. Nessuno è obbligato a leggere, nessuno è obbligato a leggere NOI. Se qualcuno lo fa, noi dobbiamo fare in modo che non abbia buttato via il suo tempo.
      È nostro dovere, esattamente com'è dovere di un idraulico evitare che la tubatura perda.

      Elimina
  2. Premetto che anche a me a volte capita di criticare la mediocrità di certi lettori, ma lo faccio spassionatamente, dal momento che non sono ancora "sul mercato" e non ho acqua da portare al mio mulino.

    Per il resto siamo ancora una volta sulla stessa lunghezza d'onda. Il rapporto fra autore e lettore è un rapporto di scambio: "Io ti dono il tempo che ho impiegato per scrivere il mio romanzo, ti dono il mio sudore, ti dono un pezzo della mia anima, quella che vive attraverso i miei personaggi, per farti passare qualche momento piacevole. Ma tu, in cambio, mi doni la tua attenzione e il tuo tempo libero. Io te ne sono grata, e per questo cercherò di metterti a disposizione l'opera migliore possibile, coerentemente con le mie capacità."

    è sulla base di questo principio che mi inalbero quando trovo opere auto-pubblicate piene di errori e di refusi: io cerco di curare più che posso anche le prime bozze e loro... bah! Per me accettare di mandare in giro un'opera mediocre è una mancanza di rispetto per il lettore. Forse sono talebana, ma la penso così. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non solo sono d'accordo, rincaro ancora la dose. Nessuno ha chiesto all'autore di fare questi doni al lettore. Non importa quanto impegno, quanta attenzione e quanto amore ci sia nella sua opera, anche se fatto con le migliori intenzioni, un dono non richiesto può risultare sgradito.
      Ogni lettore è un piccolo miracolo per cui noi autori dobbiamo essere grati. Ogni lettore merita il massimo da noi. E se poi preferisce Fabio Volo (che, per altro, non ho mai letto, magari mi piace pure) dobbiamo farcene una ragione.

      Elimina
    2. Il dono non è tanto materiale quanto piuttosto morale e spirituale. Nel mio romanzo c'è un pezzo di cuore. Per questo al momento lo condivido solo con chi può capirlo e apprezzarlo. E credo che quando sarà pubblicato (se!) farò altrettanto: sinceramente non voglio avere milioni di lettori, me ne bastano dieci, purché capiscano la storia, si commuovano e colgano il messaggio in essa contenuto. :)

      Elimina
    3. Hai pienamente ragione. Poi, da autrici, prepariamoci anche a quel tot di lettori a cui, inevitabilmente, il libro non piacerà. Ci hanno comunque regalato tempo e attenzione.

      Elimina
  3. Sono completamente d'accordo. Bisogna partire dal presupposto che si legge per piacere, che il tempo che impieghiamo per immergerci in un libro è tempo di qualità, che potremmo impiegare in altri modi.
    Come lettrice ho sempre cercato di rimanere fedele a questa indipendenza, non leggo nulla per "fare un favore" a qualcuno o perché un libro mi viene regalato o cose simili. Come scrittrice vorrei dire alle persone: "leggete il mio libro solo se vi fa piacere farlo, se la storia vi interessa".

    RispondiElimina
  4. Beh, vedendolo da un'altra prospettiva, mi fa sentire molto figo pensare che Victor Hugo, Dante e Omero siano in debito con me ;-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Credo che si siano meritati il nostro tempo (oddio, a metà di "Notre Dame" avrei risposto in un altro modo, forse se Hugo avesse preteso meno tempo da me lo stimerei di più...)

      Elimina
  5. Non vedo la lettura come una rinuncia ad altro perchè è tra le mie attività preferite, ma certo lo diventa se butto il tempo prezioso leggendo qualcosa di scarsa qualità. E condivido le tue affermazioni circa gli esordi, il salto nel vuoto quando si affrontano autori nuovi, la certezza di trovare qualcosa di consolidato in quelli che amiamo (e che delusione grande se ciò non avviene!) insomma chiamatemi spocchiosa, aggiungiamo l'aggettivo ai tanti che forse sì mi caratterizzano ma vediamolo dall'altro lato della barricata: da autrice ho fatto tanta fatica per farmi apprezzare partendo da meno di zero. Sandra

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Anch'io adoro leggere, ma mi rendo sempre più conto di come rosicchio il tempo tra mille impegni. Ormai non mi sento in colpa se abbandono un libro che non mi prende. Se poi il libro non è solo non adatto a me, ma grossolano e scritto male mi arrabbio proprio: avrei potuto leggere invece qualcosa di meglio! Questo mi fa capire ancora di più quanto io debba essere grata ai miei lettori, per pochi che possano essere, per avermi scelto senza alcuna garanzia. Altro che prendersela con il pubblico che non capisce!

      Elimina
  6. Da scrittrice mi guarderei bene dal prendermela con il lettore che non capisce così come non me la prenderei con me stessa se non dovessi piacere. Lo metto in conto ogni volta, però ho la coscienza a posto: so di avere messo in campo tutto quello che una buona scrittura richiede, perché mi sono impegnata, perché ci ho creduto fino in fondo, perché non ho scritto una storia tanto per essere pubblicata.
    Nel self-publishing è spesso questo che si percepisce: approssimazione, voglia di tentare la sorte, il mettersi alla prova per vedere se la fortuna bacia, allora sì che manca l'umiltà di ammettere che in questi casi si ruba tempo a qualcuno. È uno dei motivi per cui il mio pregiudizio è così forte! Poi se facessi pagare a tanti esordienti letti lo spazio che mi hanno sottratto con le loro schifezze, diventerei ricca!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E l'atteggiamento approssimativo che descrivi nel self danneggia chi lavora seriamente, perché il lettore dopo tre o quattro fregature non ha più voglia di rischiare. Sarebbe il caso che qualche autore inizi a capire che mandando in giro testi scadenti danneggia se stesso e gli altri autori.

      Elimina
  7. Da lettrice vorace trovo molto bello questo post, perché viene esplicitato il patto necessario che si deve instaurare tra scrittore e lettore: io scrittore mi impegno a regalarti un pezzetto del mio mondo interiore nel modo più chiaro e più fruibile possibile - io lettore regalo il mio tempo e la mia attenzione per accogliere il tuo mondo interiore e farlo un po' mio.
    Se c'è il rispetto e l'attenzione reciproca lo scrittore potrà dare un po' di sollievo alle storie e ai personaggi che richiedono attenzione nella sua testa e il lettore guadagnerà un viaggio meraviglioso senza muoversi d'un passo.

    RispondiElimina
  8. Quell'autrice ha ragione. Il lettore spende prima dei soldi, magari pochi, soldi che possono ritornargli nel portafogli, ma il tempo che spende per leggere un libro non ritorna più.
    Chi scrive quindi deve fare in modo che la sua storia dia qualcosa al lettore, ripaghi il suo tempo.
    Adesso che ho letto quella frase scrivere sarà ancora più difficile :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Eh, sì.
      La consapevolezza non facilita il processo. Ma è necessaria.

      Elimina
  9. Ciao Tenar,

    ti seguo da quasi un anno in silenzio ormai, e ammiro molto la tua franchezza e la chiarezza lampante del linguaggio. Cogli nel segno, e lo lasci il segno, perlomeno per me. Ho idea che sei una bravissima insegnante.
    Grazie per questo post, hai condensato quello che ho sempre pensato in sottofondo in quest'anno in cui ho sfogliato diversi blog letterari - ilibridisandra e deagostibus sono anche molto nelle mie corde, e insieme al tuo sono i blog su cui ritorno piú volentieri, alla ricerca di consigli, suggerimenti, incoraggiamenti.
    Vivo a Berlino ormai da diversi anni e ho cercato di frequentare un seminario di scrittura creativa ma ho scoperto che i miei "veri" compagni di viaggio li avevo giá trovati, ed erano in rete...
    A presto e ancora complimenti
    IPEK

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie di esserti palesato IPEK e grazie per il tuo bel commento!
      Vedo sempre delle connessioni dalla Germania, un paio di utenti li conosco, ma da soli non bastavano a spiegare le connessioni. Grazie, quindi, per avermi aiutato a chiarire un mistero (immagino che ci sia anche qualche altro lettore abituale dalla Germania ancora anonimo, chissà che non trovi coraggio...)

      Elimina
    2. Ehilà grazie, sono ripassata di qui prima di crollare a dormire e trovo questo commento che mi cita, da Berlino poi! Mi fanno un immenso piacere le tue parole.
      Sandra quella de ilibridisandra

      Elimina
  10. Mi trovo molto in sintonia, anche con il sassolino. Scrivere offre grandi emozioni e anche grandi frustrazioni, se si cerca un pubblico, ma credo che sia importante mantenere una visione equilibrata della cosa. Tutti abbiamo una lista eterna di libri che vorremmo arrivare a leggere nella vita, e sempre di nuovi se ne aggiungono. E' normale che chi non ci conosce esiti a leggerci, e che di conseguenza gli editori non si facciano grosse illusioni sul nostro successo di esordienti. Possiamo solo puntare sul nostro piacere di scrivere e sulla qualità che possiamo offrire, sempre crescente nel tempo. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Esatto, puntare sulla qualità, con tutta la pazienza del caso e tanta felicità per ogni lettore.
      Ieri ho visto che su amazon c'è una nuova recensione al mio ultimo romanzo. "Solo" 3 stelline su cinque. Però una persona del tutto sconosciuta ha letto il romanzo che lo ha colpito al punto tale da spingerlo a usare un poco del suo tempo per lasciare due righe su Amazon. Ne segnala pregi e (a suo avviso) difetti. Vuol dire che lo ha letto con cura, pur senza saper nulla di me. Come posso non esserne felice?

      Elimina
  11. Sono pienamente d'accordo con te, è importante dare al lettore qualcosa in più, che sia un'emozione o quella parte di noi che mostriamo in quello che scriviamo. Io ci provo sempre con intensità, non so ancora se davvero ci riesco. Verissima la frase sulla lettura, è per questo che quando scopro che qualcuno ha deciso di leggere il mio libro (e quindi dedicare del tempo a questo) mi sento davvero privilegiata.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ci proviamo, a dare quel qualcosa in più, senza alcuna garanzia di successo. Ma almeno ci proviamo, fuori dall'ottica del "buona la prima e se non mi apprezzate è perché sono troppo superiore"

      Elimina
  12. Da lettrice, trovo fastidiosi quegli autori (esordienti o affermati) che criticano i lettori in quanto persone che non capiscono nulla e che leggono solo letteratura "commerciale".

    "Scrivere significa chiedere a qualcuno di rinunciare a un pezzo della sua vita per leggerci"
    Questa frase è tanto bella quanto vera e sono certa che la porterò con me. Hai ragione quando dici che dobbiamo dare qualcosa al lettore, fosse anche solo un'emozione speciale che dura un istante.
    Quando scrivo, lo faccio con questa speranza: che un giorno qualcuno legga le mie parole e trovi qualcosa che possa fare suo.

    Riguardo allo spulciare EFP alla ricerca di qualcosa che valga la pena leggere, ho in programma un articolo. Un po' più generico, in realtà, a partire dal perché ho lasciato il sito ma credo comunque che contenga parte di ciò che tu hai espresso in un paio di frasi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Innanzi tutto benvenuta (ho visto che hai un blog molto interessante)!
      Sì, la penso come te. Un autore si rivolge a un pubblico, grande o piccolo, di lettori. Se ritiene che i lettori siano degli idioti, perché perde tempo con loro?

      Elimina