Caro professore,
non sono mai stata tua allieva, anche se questo è un po' colpa tua, e per questo non ci siamo mai incontrati, parlati o scritti. Ti scrivo adesso, che non sei più Di Qua. Chi sa mai che non ci sia, oltre i vincoli del tempo e dello spazio, un modo, per te, di dare una sbirciata. Confido che dalla tua nuova prospettiva non sia poi così importante il fatto che io ti dia del tu.
Avevo tredici anni quando mi hanno regalato il tuo romanzo, Il nome della rosa. Facevo terza media e non avevo la più pallida idea di chi tu fossi, né del caso che si era creato intorno a quel romanzo e neppure che, forse, non era una lettura da tredicenni. Era solo che mia madre era esasperata dal mio continuo "non so più cosa leggere!" e ha pensato che il tuo romanzo mi avrebbe azzittito per un po', quindi per Natale me lo ha regalato.
C'è da dire che a volte le mamme hanno ragione.
Perché quello era proprio il romanzo di cui avevo bisogno.
Perché all'epoca ero un Adso in cerca di un maestro o forse ero l'allievo che il buon Guglielmo avrebbe voluto al seguito (già all'epoca ero un po' più furba e intuitiva di Adso).
Dire "questo romanzo mi ha aperto un mondo" è una frase fatta. Ma, come tu mi hai insegnato, a volte possiamo usare una frase fatta e un po' trita, se usata come ironia o con la consapevolezza del passato che l'ha usurata. Quindi (controlla se ho imparato bene), proprio con l'ingenuità di Adso posso dire "questo romanzo mi ha aperto un mondo"!
Più di uno a dire il vero.
Mi sono buttata a capofitto nell'esplorazione della biblioteca, col piacere di trovare finalmente un giallo che mi invitasse a giocare con l'autore senza condiscendenza, ma con rispetto per la mia intelligenza. Perché alcune cose mi sono state chiare fin da subito. Come il fatto che ci fossero più cose da trovare. Già allora capivo che se un protagonista si chiama Guglielmo da Baskerville, è alto, magro, ha il naso aquilino e ogni tanto ha strani momenti di apatia o stai plagiando Doyle o mi stai avvisando che tutto il romanzo è un collage e mentre si gioca a scoprire l'ingresso della camera segreta della biblioteca, si può giocare anche a trovare tutti i pezzi del puzzle. Non avevo, all'epoca, ovviamente, la cultura per identificarli, ma ho continuato il gioco per anni. Ricordo, ad esempio, che ero all'università e ho trovato il pezzo che hai usato per la descrizione del famoso portale della chiesa e qualche frase che hai messo in bocca all'abate ed è stato bellissimo rendermi conto che stavo ancora giocando a una sorta di grande caccia al tesoro iniziata quasi dieci anni prima.
Il piacere del gioco intellettuale, quindi, è stata forse la prima delle cose che mi hai regalato con il tuo romanzo (e quelli seguenti). Può sembrare una sciocchezza, ma a tredici anni non avevo molta gente da portare con me dentro i labirinti. Mi sentivo un po' una bestia rara. Mi vergognavo dei miei interessi così insoliti in una terza media. Quindi ho chiesto qualche informazione su di te. È risultato che eri uno stimato professore universitario. Quindi, ho pensato, si possono assecondare questi piaceri intellettuali senza doversene vergognare. E mi sono iscritta al liceo classico.
Anche perché ero un po' irritata da tutto quel latino. Pezzi che avevo dovuto per forza saltare. E quindi mi incaponivo a studiare il latino per rileggere e capire tutto il tuo romanzo. A tredici anni immagino che sia una motivazione come un'altra per iscriversi al classico. Oltre tutto lasciavi intendere che la letteratura greca fosse meravigliosa.
Insomma è colpa tua se non ho studiato qualcosa di più pratico come volevano i miei.
Credo che sia stato uno dei primi libri un po' fuori dagli elenchi tipici dei "libri per ragazzi" che mi sia capitato in mano. Dopo tutto ero all'inizio della terza media ed ero ancora iscritta alla biblioteca dei ragazzi.
Mi hai mostrato un mondo un po' meno edulcorato di quello a cui ero abituata. Credo che quella di Adso con la strega sia stata la prima scena d'amore che io abbia mai letto, prima le storie si fermavano a casti baci. E difficilmente la bella del protagonista poi finiva al rogo. Per non parlare del fatto che alcuni monaci non fossero poi così casti. E non andassero, però, a donne.
E che dire delle eresie, le torture (così ben descritte!) e gli inquisitori? Il problema della giustizia e della verità. L'amarezza di fra Guglielmo, ex inquisitore che non si sente più in grado di giudicare nessuno.
Mi hai dato un bel po' di cose a cui pensare.
Mi sa, quindi, che hai delle colpe anche sul mio modo di pensare. Sul mio vedere il mondo come un sistema complesso in cui non è facile dare giudizi netti.
Ovviamente non ho capito tutto tutto quello che mi raccontavi. Probabilmente mentre ragionavi insieme a Guglielmo sui movimenti ereticali e il loro sfociare anche in violenza, pensavi ai nostri anni '70. Io allora conoscevo poco il medioevo e per nulla gli anni '70. Ma imparavo a pensare. Pure troppo, per il mio benessere interiore. Già allora, come scrivevo prima, mi sentivo più vicina a Guglielmo che ad Adso e mi rendevo conto che da adulto Adso sarebbe stato più sereno di quanto non fosse Guglielmo.
Per fortuna c'era ironia! A volte amara, a volte graffiante, ma c'era sempre. Non avevo ancora letto, allora, Diario minino o le Bustine di Minerva, ma capivo che l'ironia era parte del tuo modo di essere e, anche qui, una cosa di cui non vergognarsi.
Perché, sì, insomma, mi piaceva conoscere e capire le cose, ma i secchioni noiosissimi o certi professori seriosi non mi sembravano proprio dei modelli da copiare. Non volevo essere seria e triste come loro. Ma, dopo tutto, mi dicevano, ti eri sposato e avevi degli amici. Quindi eri, sì, un professore universitario, ma non un disadattato (scusa per aver pensato a te come a un disadattato, ma una tredicenne sola che si legge Il nome della rosa durante le vacanze di Natale ha delle fondate preoccupazioni sul futuro della sua vita relazionale e affettiva).
Quindi, sì, forse potevo andare a studiare per mio piacere cose oscure e dimenticate, potevo non vergognarmi nell'appassionarmi a complicati gioco intellettuali, potevo guardare il mondo come a una cosa complessa da indagare da diversi punti di vista, ma senza dimenticarmi di sorridere, scherzare e magari anche sperando in una vita non solitaria.
E quindi ecco, mi sono iscritta al classico, finendo talmente invischiata in quelle anticaglie da trovarmi poi a studiare archeologia (invece che venire magari a studiare da te). Adesso scrivo gialli dalla forte componente storica e intellettuale. Mi sforzo di indagare il mondo con precisione e onestà intellettuale e l'ironia è parte di me.
Non dico che sia tutta colpa tua, sia chiaro.
Però ci sono libri che arrivano in un dato momento nella vita di una persona e la orientano. Il tuo è stato uno di questi. Poi posso dirti che sono tra quanti considerano Il pendolo di Foucault un capolavoro quasi superiore al primo per molti versi. Ma rimane il fatto che il tuo Il nome della rosa abbia cambiato la mia vita.
Cosa banale a dirsi, eppure vera.
Straordinario e commovente. Credo proprio che sia fiero di te.
RispondiEliminaHelgaldo
:)
EliminaOh, sì veramente una bella lettera, Tenar. Sandra
RispondiEliminaUn bellissimo pensiero, mi ha fatta sorridere e mi ha commossa.
RispondiEliminaBrava, un ricordo, una testimonianza che meritavano di essere condivisi.
RispondiElimina:)
EliminaCapisco questa tua nostalgia. Provo lo stesso sentimento. Avrei voluto questo mirabile intellettuale sul percorso di studi, come insegnante, ma in fondo lo è stato ugualmente attraverso i suoi libri.
RispondiEliminaNon so se lo avrei davvero voluto come prof. Come ha detto Hel nel suo post, a volte è meglio se i miti rimangono tali.
EliminaQuando un libro ti cambia la vita, nel tuo caso il romanzo di Umberto Eco ti ha indicato la direzione per la vita.
RispondiEliminaMi piaceva molto il professore.
Anche a me!
EliminaLetto così tanti anni fa che nemmeno mi ricordo in che anno. Mi dico sempre che prima o poi dovrei rileggerlo, ma ce ne sono sempre così tanti in fila...
RispondiEliminaMa questo vale, vale davvero una rilettura.
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