mercoledì 3 febbraio 2016

The revenant – Visioni


L'anno scorso, uscendo dalla sala dopo la visione di Birman, mi ero chiesta cosa avrebbe fatto Inarritu con un film d'azione.
The Revenant è la risposta, ma forse non è la risposta che speravo.

Premessa.
Ho l'influenza, che deve passarmi al più presto perché gli scrutini incombono e gli scrutini non si possono saltare e questo non migliora la mia già scarsa capacità di moderare i giudizi.

La storia è nota. Siamo in nord America nel primo ottocento. Una guida in una spedizione di cacciatori di pellicce è abbandonata come morta dopo essere stata mezza mangiata da un orso. Di più. La persona che, insieme a suo figlio, doveva vegliare su di lui, uccide il ragazzo e lo abbandona. Ma l'uomo non è morto e con ogni mezzo cercherà di vendicare suo figlio.

Ci sono sequenze che sono a dir poco superlative. L'attacco indiano alla spedizione e in generale tutte le scene d'azione sono fenomenali con brevi piani sequenza montati con raccordi fantastici. Il tutto è girato in luce naturale in una natura incontaminata e splendida, vera protagonista della pellicola.
Ci sono però almeno tre MA grossi come una casa.

Il primo, più grosso MA è una imbarazzante mancanza di profondità. Il film è lunghissimo, ma non abbiamo modo di affezionarci al protagonista. Tutti nella spedizione parlano benissimo di lui, ma non non capiamo perché, non abbiamo visto quella parte di storia. Del suo passato conosciamo solo frammenti onirici che sembrano presi a forza da New Word di Malick. Troppo poco davvero per affezionarci a lui, tanto che a volte si inizia a pensare alla morte come a una liberazione per lui e per noi spettatori. Persino il traditore cattivissimo ha più profondità e ci si interessa quasi più a lui che non all'eroe. Non è colpa del povero Di Caprio, che più che grugnire non può fare. È proprio un problema di scrittura, di personaggio non costruito.
Stessa cosa per il resto dei conflitti.
Ci sono storie ambientate in territori desolati in cui però gruppi di personaggi continuano a incontrarsi nel nulla, come neppure il sabato pomeriggio in un centro commerciale. Qui ci sono i cacciatori statunitensi, i cacciatori francesi, un gruppo di indiani giustamente arrabbiati e altri indiani assortiti. Il regista vorrebbe raccontare, lo si vede, il dramma dei nativi americani e della natura violentata, ma rimane tutto estremamente superficiale. Lo spettatore fatica a provare empatia o a capire davvero i drammi che sono in atto. 

Il secondo grosso MA è la lunghezza.
Il film è lunghissimo, cosa che amplifica tutti i problemi del punto uno. Ci sono scene splendide, come quella dell'attraversamento del fiume con la cascata gelata che non apportano assolutamente nulla a livello di trama. Forse sono io che fatico a vedere la poesia, ma alla centesima bellissima alba mi innervosisco. Non è una questione di minutaggio. 
È che è difficile raccontare così poche cose in così tanto tempo con immagini così belle.

Il terzo grosso MA è la credibilità.
Qui non è questione di orso o non orso, di volontà e desiderio di vendetta. È umana impossibilità. Non puoi raccontarmi una storia "vera" ripresa tutta in luce naturale, in cui un uomo massacrato a dicembre finisce in un fiume ghiacciato, scende giù dalle rapide e se la cava da solo. Poi a un certo punto sale su un cavallo, viene preso a frecciate, finisce in un burrone e se la cava. Da solo.
Se mi vuoi raccontare una storia "più vera del vero" non puoi poi presentarmi un protagonista più indistruttibile di Capitan America. La mia sospensione dell'incredulità va a farsi benedire.
Come ha detto un mio amico: "a un certo punto inizi a capire che l'orso aveva le sue ragioni".

C'è poi un quarto MA, più piccolo e personale. Era stato detto che il film è tratto da una storia "vera" da cui a sua volta era stato tratto un romanzo nel 2003. Dopo 20 minuti ho iniziato però ad avere un fortissimo senso di dejà vù. Il mio dejà vù si chiama "Uomo bianco va' col tuo dio", film del 1971 in cui un tizio in una spedizione di caccia di primo ottocento viene tradito e massacrato da un orso, ma sopravvive e si vendica. Adesso vedo che Wikipedia è stata aggiornata e segnala che il soggetto è lo stesso, ma ho visto un intero documentario sulla lavorazione di The Revenant e non mi pare che questa pellicola sia stata nominata. Mi è sembrata una discreta mancanza di tatto.

A conti fatti The Revenant è un film che va visto. È in molte parti un virtuosismo tecnico. Non a caso agli oscar se la vedrà in molte categorie con Mad Max, un altro virtuosismo tecnico. Solo che in Mad Max la tecnica è funzionale a qualcosa, qui non sempre. Io ho un debole per i virtuosismi e in particolare per i piano sequenza che Inarritu ama tanto, ma ho comunque bisogno di una storia forte.

Ma, per carità, l'oscar a di Caprio datelo, che se no la prossima volta si fa mangiare davvero da un orso.

14 commenti:

  1. Sono d'accordo con la tua recensione: la fotografia e i paesaggi sono spettacoli, ma anch'io l'ho trovato lungo e poco credibile, soprattutto da un certo punto in poi. Verso la fine, ho iniziato a pensare: "Insomma, deciditi, o stai vivo o muori davvero!"
    Di Caprio è stato bravo, comunque. Non so se si meriti l'Oscar, anche perché non ho visto tutti gli altri film in gara, ma per le limitazioni che ha il personaggio ha fatto un buon lavoro.

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    1. Concordo.
      Ho letto delle recensioni secondo cui era colpa di Di Caprio se il suo personaggio ha poca profondità, ma io mi chiedo cosa poteva fare, oltre a grugnire, per creare profondità in un personaggio non scritto.
      E poi, se punti tutto sul realismo, certi eccessi è meglio evitarli.

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  2. Non ho simpatia per Di Caprio, per cui che vinca o meno l'Oscar mi è indifferente, comunque l'ho visto giusto ieri in Django Unchained e mi sembra abbia dato prova di ottime capacità recitative.

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    1. Il buon Leo è passato alla storia per NON aver vinto l'oscar pur con ottime interpretazioni. Da qui la leggenda che sia in cerca di ruoli sempre più estremi per ottenere l'ambita statuetta. Questo in effetti è abbastanza estremo, anche perché il regista lo ha fatto davvero stare a mollo in un fiume ghiacciato in pieno inverno. Da buona freddolosa solo per questo si merita un premio.

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  3. Non sono ancora riuscita a vederlo, ma non mancherò, ne ho sentite dire di ogni su questo film e sono curiosa...

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    1. Bello è bello, però...
      Insomma anche l'orso ha le sue ragioni...

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  4. Io la storia non la conoscevo, ma tempo fa avevo notato il romanzo quando uscì in Italia e lo avevo messo in lista.
    Il film sarà anche lungo, ma le 3 ore a me sono davvero volate, quindi per me è ben costruito. Mettici anche che adoro questo genere.
    Le 2 ore di MacBeth, invece, le ho vissute come uno strazio assurdo.
    La storia vera che dice in proposito? Se le cose sono andate così, che ha fatto tutto da solo, c'è poco da fare. Ho trovato film con scene ben più incredibili, per esempio Rapa Nui.
    Del soggetto non ne sapevo. Quindi si è discostato dal romanzo?
    Non mi pare che Di Caprio abbia recitato al punto da meritare un Oscar.

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    1. La storia vera dice che il tizio, attaccato dall'orso e dato per morto è arrivato da solo al forte. Ciò che è accaduto in mezzo non è stato così ben ricostruito (da quel che ne so io), infatti nel film del '71 il percorso del protagonista, per quanto difficile, è molto più credibile. Qui l'attacco dell'orso è il meno. L'ipotermia non è un'opinione, se stai a mollo nel fiume ghiacciato in dicembre. Il parere di mio marito, farmacista, è netto "altro che erbe indiane, lì ci voleva una resurrezione". Credo che Inarritu abbia un po' esagerato con le difficoltà da superare cosa che, in un contesto iper realista, a me ha stonato ancor di più.
      Poi i gusti personali sono gusti personali. A me le scene d'azione sono piaciute tantissimissimo. La bellezza di alcuni passaggi è innegabile. Altri mi sembravano presi a forza da New Word. Il direttore della fotografia è lo stesso, ma sembra che abbi proprio riciclato alcune inquadrature (specie nelle parti oniriche) cosa che mi è sembrata una certa mancanza di originalità. Diciamo che mi aspettavo di più. Alcune parti sono da 10 e lode, altre un po' troppo sotto la media, a mio parere, il che è un peccato.

      Sulla recitazione di Di Caprio non sono abbastanza esperta (scrittura cinematografica, un po' di regia e montaggio li ho studiati, ma lì mi fermo). Il ruolo non gli permetteva di fare molto, a parte la faccia sofferente, ma, come già detto sopra, stare a mollo in un fiume gelato per me merita un premio.

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  5. Quando ho visto Birdman (tra l'altro dopo aver letto la tua recensione) ero piuttosto malconcia e mi sono addormentata prima della metà. Non per noia, ma per febbre. Da un anno mi riprometto di riprovare, ma non ho ancora avuto l'occasione.

    La storia di Revenant a me non era nota: pur avendo sentito parlare del film non mi ero ancora documentata. Così come la descrivi tu, non invoglia la visione, pur essendo io una fan dell'Inarritu di "amores perros" e "babel".

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    1. Inarritu registicamente è molto molto bravo. Quei film, però, dovevano molto alla sceneggiatura di Arriaga. Qui, a mio parere, manca proprio una solida sceneggiatura che avrebbe ancorato maggiormente le (splendide) immagini al senso generale della storia.
      Rimane un film che va visto.
      Con una tazza di caffè.

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    2. Quei film secondo me erano perfetti.
      Premetto che sono una fan di Gael Garcia Bernal da tempo immemore, ma entrambi oltre a essere ben scritti e ad avere una gestione ottimale dell'intreccio erano anche ben recitati. Su birdman non mi posso esprimere perché ho visto troppo poco. Idem per The revenant...

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    3. Birdman secondo me è più compatto di The Revenant. Qui ci sono singole sequenze e momenti migliori, ma come film, a mio parere, vince Bridman.

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  6. Non ho ancora visto “The Revenant”, “Mad Max” sì e mi è piaciuto molto. Non l'avrei detto.
    Speriamo che almeno questa volta ce la faccia con l'Oscar!

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    1. Ma sì, poveretto, tutto sommato tiferò per lui.
      PS: Mad Max mi è piaciuto un sacco e anch'io non l'avrei mai detto.

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