venerdì 14 dicembre 2018

Padrone del tuo destino – racconto a puntate, capitolo 11

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10


Courchevel – Agosto 2002
– Sono meravigliose! Guarda quanta neve… Sono come la Siberia, ma in verticale!
– Non siamo un po’ troppo bassi? Non è che rischiamo…?
– No, K., goditi il panorama, una buona volta – disse Y.
Sorrideva ed erano giorni che non lo faceva.
Ma l’emozione dei due ragazzi, la prima volta che sorvolavano le Alpi era una cosa che andava vista. Non avevano alcuna esperienza di montagne e in quel momento sembrava che si potesse mettere una mano fuori dal finestrino e sfiorare una vetta o raccogliere una manciata di neve da un ghiacciaio. Il suo lavoro, dopo tutto, era anche questo, accompagnare dei ragazzi in giro per il mondo, far vedere loro cose che senza il pattinaggio non avrebbero mai potuto neppure immaginare. E a volte il loro viso in quelle occasioni ripagava di tutto. Y. si lamentava moltissimo delle continue trasferte, dei fusi orari, della scomodità dei voli e degli alberghi, ma in realtà era una delle cose che preferiva. Quando gli capitava di vedere immagini come quella della faccia di V. praticamente schiacciata contro il finestrino dell’aereo, gli occhi enormi nel tentativo di assorbire tutto, era difficile dire che non ne valesse la pena. Cosa che, invece, aveva pensato di continuo nel mese precedente.
Le cose erano andate esattamente come L. aveva predetto. Maledetta donna che aveva quasi sempre ragione. Il ragazzo che aveva messo incinta E. si era dileguato appena saputa la notizia, a diciannove anni si era trincerato dietro la famiglia, a un padre che giurava che non fosse stato il suo figlio, che non avrebbe mai fatto alcun test per sincerarsene e che comunque lei era una poco di buono. Una facile, che andava con tutti, compreso un ragazzetto figlio di un delinquente. Queste cose Y. le aveva sapute in prima persona perché i genitori di E. erano interessati solo al fatto che non si sapesse niente e quindi erano stati ben disposti a mascherare il tutto come un infortunio sportivo e lasciare nelle sue mani l’intera gestione della cosa. E con quello, la voglia di schiaffeggiare E. gli era passata del tutto. 
La ragazza non aveva mai pianto, tra tutti, sembrava l’unica ad aver mantenuto intatta la propria dignità. Una volta Y. aveva visto un film su Anna Bolena. Ekaterina si era avviata a tutte le visite mediche e anche alla clinica privata e di comprovata discrezione esattamente con lo sguardo che aveva Anna Bolena in quel film quando saliva sul patibolo. Ma, dopo tutto, E. era una regina. Lo era sempre stata e avrebbe continuato ad esserlo. Per certi versi, Y. non era mai stato tanto orgoglioso di lei, anche se era quasi certo di averla persa. Erano stati i suoi genitori a spingerla a pattinare, era stato il loro sogno vederla diventare una campionessa. Non c’era nulla di male in questo, la maggior parte dei ragazzini iniziava uno sport per gli stessi motivi. Ma di certo Y. al posto suo non avrebbe più fatto nulla per compiacerli. In altri tempi, quando era lui a pattinare, una ragazza di quel talento non sarebbe stata lasciata andare. A costo di ricorrere alle minacce o ai ricatti. Lo aveva visto succedere. Un talento doveva per forza servire alla causa sovietica. Adesso, però, vivevano nel tempo della libertà. E, forse, anche quello di non sviluppare il proprio talento era un diritto.
– Allacciatevi le cinture, stiamo per atterrare – disse ai ragazzi.
Intercettò i loro sguardi di colpo ansiosi. Per K. era la seconda gara internazionale, per V. era tutto nuovo.
– Oh, certo, qualcuno riderà di voi – disse. – Perché siete impacciati e il vostro inglese, sopratutto quello di V., è tutt’altro che perfetto. Ma solo fino a che non sarete scesi in pista. E in ogni caso la maggior parte dei ragazzi che incontrerete è esattamente come voi, si sentono stranieri, sono in ansia per la gara e non sanno come comportarsi. Siete qui per vincere, questo è certo, ma anche per imparare a gestirvi nel mondo. Ed è una buona occasione per iniziare a fare amicizia con altri atleti che magari pattineranno con voi per anni.
– Io non ci faccio amicizia con i nemici – ribatté K.
– E quando mai tu fai amicizia? – sospirò Y. – Comunque non devi per forza legare con gli avversari diretti, ci sono le ragazze e i ragazzi delle coppie di artistico e di danza. Magari succede un miracolo e trovi qualcuno che non ti è insopportabile.
Quello che pensava davvero era del tutto censurabile. Qualcuno che ti cacci la lingua in bocca e migliori un po’ il tuo umore. Y. aveva seguito per quattro anni un atleta che aveva una relazione segreta con un pattinatore canadese che faceva danza su ghiaccio. Mai avuto un ragazzo così desideroso qualificarsi per le competizioni internazionali. Per D., all’epoca, era stato un avversario quasi imbattibile. Y. era diventato amico del tecnico canadese ed entrambi avevano convenuto che era una delle situazioni più facili che a un allenatore potesse capitare. Atleti motivati che avrebbero fatto qualsiasi cosa per evitare che la notizia trapelasse.
K., però, si limitò a sbuffare, guardando con malcelata preoccupazione la pista che si avvicinava.



Bene, o, almeno, meglio del previsto.
Alla mattina dell’ultimo giorno di gara, K. guidava la classifica e V. era al terzo posto. Il siberiano il primo giorno era parso ancora un po’ frastornato dalle troppe novità, dagli gli annunci di gara in inglese che non sempre capiva agli gli avversari che avevano tutti più esperienza, anche quelli più giovani, e sapevano come intimidire. Si era adattato in fretta, però. La malinconia che lo avvolgeva da che E. non veniva più in pista non era sparita, ma la sua innata curiosità lo aveva portato già quel pomeriggio a esplorare il paesino francese, che poi era una manciata di case di legno circondate dai monti, ed era tornato in compagnia di un inglese e una polacca con cui comunicava con un misto di russo, inglese e gesti. Courchevel era infinitamente più sicuro di una qualsiasi festa a casa di E. e i ragazzi erano tutti atleti con le stesse esigenze e responsabilità e Y. era stato ben felice di lasciarlo alla trasgressione di una pizza senza adulti alle calcagna. 
K., ovviamente, era più ombroso ma le cose non giravano così male. Divideva la camera con V., ma a quanto pareva non si erano ancora azzuffati e il fatto di dominare la gara aiutava. Aveva persino scambiato due parole con un ragazzo americano. Nulla di più che informazioni banali sulla provenienza e la specialità di gara, il ragazzo faceva coppia di figura e a quanto pareva era in fuga dalle crisi d’ansia della propria partner, ma, dato che si trattava di K., era un successo non da poco.
Adesso, durante l’allenamento pre gara, si muoveva sicuro, con la convinzione di non poter che confermare le prestazioni precedenti. Quello che invece andò ad abbracciare il ghiaccio fu V., nel tentativo di provare la sua sempre incerta combinazione.
– Vieni qui, ragazzo – lo chiamò, a fine allenamento.
– Ho fatto schifo, vero? – disse V., con uno di quei sorrisi che ormai il tecnico riconosceva come “schermo anti sfuriata”.
– Abbastanza. Quindi non strafare. Fai il doppio dopo il Lutz. Se cadi sulla prima combinazione non ne esci più. 
– Sì, ma vincere sarebbe impossibile.
– Mantieni la terza posizione. È la tua prima gara internazionale. Se vai a podio in tutte e due le qualificazioni entri di sicuro in finale.
L’espressione del ragazzo non era affatto convinta.
– Che cosa c’è?
V. si guardò intorno, riluttante a parlare.
– Non pensavo che fosse così, una gara internazionale.
– Così come?
– Diversa dalle nostre… Piena di cose, di persone… Io vorrei… Conquistarmi il diritto di restare in questo mondo?
– Allora vedi di mantenere la posizione e non fare idiozie.
Eppure stava pensando qualcosa e Y. non sapeva se fosse un bene o un male. Per i ragazzi era la prima partecipazione al Grand Prix e quindi era un po’ la prima volta anche per lui, dato che, pur conoscendoli, non sapeva come avrebbero reagito alla tensione. K. era ringhioso e concentrato, come i giorni precedenti e come all’europeo, l’anno prima. Quindi Y. supponeva che andasse tutto bene. V. sembrava… Un segugio in un bosco troppo pieno di selvaggina. Attento ad ogni stimolo, teso e con un sottofondo d’inquietudine. Dal momento che non l’aveva mai visto così, Y. non aveva idea neppure di cosa fare o se aspettarsi un disastro o un miracolo. E un disastro andava evitato a tutti costi. Meglio una prestazione mediocre che una caduta rovinosa nella propria gara d’esordio.
Stavano pattinando tutti bene, maledizione a loro. L’inglese, che era quinto, piazzò anche lui una combinazione con due tripli, Loop e Toe Loop, che fece digrignare i denti a K., ma applaudire di cuore V. e si guadagnò un punteggio da podio sicuro.
Anche il quarto il classifica, un giapponese, gli asiatici stavano iniziando a diventare un problema, se la cavò in modo più che dignitoso.
V. si tolse la felpa, rivelando il costume bianco e grigio, e assestò un carezza al proprio peluche, come se fosse un cane vero.
– Tutte le ragazze sono già innamorate di te – gli disse Y., sperando di far leva sulla sua vanità. – Adesso vai a far vedere chi sei e ricordati che cosa ti ho detto.
V. annuì.
– Sì – sembrava che stesse per buttarsi nel vuoto. – I diritti qui si conquistano sul ghiaccio e se posso fare una cosa la devo fare.
Non erano le frasi che Y. aveva in mente, ma lo sguardo del ragazzo era cambiato del tutto. Sembrava ancora un segugio, ma che avesse trovato la sua preda.
Gli altoparlanti annunciarono il suo nome e Y. si godette lo sguardo degli altri tecnici quando il nome fu ripetuto anche come quello del coreografo del pezzo, insieme a quello di L. Le altre esibizioni erano state prove generali, la gara di V. era quella.
Il ragazzo partì benissimo. Lui, beh, Y. se n’era accorto subito. Ci sono atleti che sanno attirare gli sguardi, hanno un’eleganza innata. V., con i capelli lunghi e il costume chiaro sembrava un cigno o un angelo e nessuno poteva togliergli gli occhi di dosso. Questo, però, voleva dire che ogni sbavatura tecnica sarebbe stata notata. In una prestazione mediocre, un buon salto veniva apprezzato dai giudici. In una sublime una sbavatura poteva essere penalizzata moltissimo da una giuria esigente. E il sistema di valutazione era tale che l’umore dei giudici diventava un elemento determinante.
Ecco la combinazione… Y. ebbe la tentazione di chiudere gli occhi.
Triplo Luzt, perfetto. Triplo Toe Loop, atterraggio non meraviglioso, ma senza bisogno di appoggiare una mano. Altro che non strafare. Subito di seguito aveva un’altra combinazione, triplo Axel e doppio Toe Loop, la versione più facile di quella di K… No. Non la versione più facile. Triplo Axel, il triplo Axel ormai perfetto di V., e triplo Toe Loop. Maledetto siberiano. Ecco perché aveva insistito tanto per quella combinazione che non gli usciva così bene. Testa dura e ribelle. Avrebbe dovuto dirgli cos’aveva in mente! Quella era una cosa da far vedere in finale o ai mondiali, non alla prima gara. Ora tutti gli atleti avrebbero alzato l’asticella della difficoltà, rendendo le gare successive un incubo… Ma Y. non ci pensava davvero. Come tutti era ipnotizzato dalla piuma, l’angelo o quel che era e la sua caduta verso la dannazione. Finché non intercettò lo sguardo di K. Era come se qualcuno gli avesse sparato a tradimento nella schiena.

SULLE LAME DELLA STORIA.
E finalmente siamo arrivati alla gara!
Nel mondo reale V. e K. in Francia avrebbero incontrato la nostra Carolina Kostern, che è più o meno loro coetanea (ed è ancora competitiva, quasi l'ultima sopravvissuta di un'epoca passata).
In questi 16 anni in pattinaggio è cambiato parecchio. Il sistema di giudizio è cambiato, pesa molto di più l'aspetto tecnico e meno l'umore dei giudici di cui tanto si lamenta Y. Di conseguenza le combinazioni presentate dai miei personaggi oggi non sono più il top di gamma, come lo erano invece nel 2002.
Il vincitore del Grand Prix Juniores di quest'anno, però, è simile  come ci immaginiamo V. Ha 13 anni ed è un canadese di origine russa (lo sguardo finale di K. è più o meno lo stesso del  russo sedicenne campione del mondo in carica che si è visto portar via la vittoria da un ragazzetto...).
Gli manca ancora un po' di espressività, ma godetevi la sua esibizione nel corto.




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